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    Come si cura la dipendenza da videogiochi

    Trovare un aiuto può essere molto difficile per i giocatori che sentono di non essere più in grado di controllare i loro comportamenti ossessivi.

    di Will Douglas Heaven

    Come milioni di bambini negli anni 1980, Scott Jennings era un appassionato di videogiochi. A volte esagerava, riempiendo il suo pomeriggio con Pac-Man o Space Invaders. Ha smesso quando è andato al college e non ha giocato per altri 10 anni. Dopo la laurea ha ottenuto un lavoro come sviluppatore di software e la sua vita procedeva abbastanza bene.

    Ma ha iniziato a bere al mattino e questa dipendenza dall’alcool lo ha spaventato così tanto da spingerlo a cercare aiuto. E’ entrato negli Alcolisti Anonimi ed è ritornato sobrio.
    Per cinque o sei anni nessun problema. Ha imparato a convivere con la sua malattia, astenendosi completamente dall’alcool. 

    E’ riuscito anche a rimanere lontano da qualsiasi attività che pensava potesse creare dipendenza. Un amico a cui piaceva andare nei casinò lo invitava spesso, ma Jennings rifiutava sempre. “Non volevo rischiare, anche se ero cosciente di cosa fosse la dipendenza da gioco”.

    Ha ricominciato a giocare ai videogiochi. All’inizio era un’attività episodica, ma, quando ha attraversato un periodo difficile, ha scoperto che i giochi lo aiutavano a gestire lo stress e l’ansia. Era terrorizzato di ricadere nella dipendenza. “Non volevo toccare l’alcool. Sapevo cosa mi aspettava se avessi ricominciato a bere “, spiega Jennings. “Quindi ho usato i giochi per evitare il disastro”.

    I segnali erano tutti presenti. I comportamenti dell’alcolista erano tornati. Giocava quando avrebbe dovuto dormire. Se la gente gli chiedeva cosa aveva fatto durante il giorno, avrebbe inventato qualsiasi bugia pur di non ammettere di aver giocato quattro o cinque ore di fila. “Capivo che ero a rischio, ma non volevo ammetterlo”, continua Jennings.

    Nelle prime fasi di recupero è normale che le persone trovino ossessioni sostitutive. Jennings guardava continuamente la TV, passava molte ore nelle chat room online, frequentava siti pornografici e si abbuffava di gelato. “Tutti questi comportamenti di fuga e intorpidimento erano stampelle temporanee”, egli ricorda. “Pensavo che in poco tempo mi sarei stancato, ma non è andata esattamente così”.

    Come mai i giochi creano dipendenza? O ciò che assomiglia alla dipendenza da gioco è semplicemente un sintomo di altri problemi sottostanti, come la depressione? Gli scienziati stanno cercando di capire le componenti psicologiche dei videogiochi. Ma nonostante il gran numero di giocatori che cercano aiuto per uscire dalla spirale, c’è poco accordo su ciò che è la dipendenza da videogiochi, o anche se si tratti di una vera dipendenza.

    Nel maggio di quest’anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto il disturbo da gioco alla sua Classificazione internazionale delle malattie, una guida diagnostica per i medici. La speranza è che, dando un’etichetta a una serie di comportamenti problematici, i professionisti medici, dai medici agli assicuratori, possano identificarli e trattarli più facilmente.

    La classificazione dell’OMS è solo un esempio del crescente riconoscimento dei disturbi da videogiochi negli ultimi anni. I ricercatori stanno esplorando possibili rimedi, tra cui la terapia cognitivo comportamentale (CBT), un approccio psicologico che mira ad affrontare una vasta gamma di disturbi portando i pazienti ad analizzare i propri schemi di pensiero e comportamento.

    Eppure, autorevoli esperti nutrono preoccupazione per questa corsa a patologizzare uno dei passatempi più popolari al mondo. “Penso che ci sia ancora molto da discutere”, afferma Peter Etchells, uno psicologo della Bath Spa University nel Regno Unito. “Non necessariamente sull’esistenza della dipendenza da gioco, ma su come appare realmente e quando sia patologica … Probabilmente non ha senso dire che i giochi creano dipendenza più di quanto si dica che il cibo fa ingrassare. Dipende ovviamente da quale cibo si sta mangiando e dalla quantità. Diversi tipi di gioco possono attrarre in modi completamente differenti”.

    A seconda degli studi presi in considerazione, le stime del numero di persone con dipendenza da gioco vanno da meno dell’1 per cento dei giocatori a quasi la metà. Parte del problema è che non esiste una definizione chiara di ciò che viene definita dipendenza. Molte stime si basano su diagnosi aneddotiche o auto-riportate.

    Dipende anche da chi viene considerato come giocatore: includere i giocatori casuali nel denominatore fa apparire il rapporto minore, forse mascherando la gravità del problema. “Esistono 30 anni di ricerche sulla dipendenza da gioco e non siamo ancora vicini alla comprensione di cosa stiamo realmente parlando”, afferma Etchells.

    Nel novembre 2016, quando l’OMS stava ancora considerando la sua posizione sul disturbo da gioco, un gruppo di 26 importanti ricercatori di videogiochi e salute mentale, guidati da Andrew Przybylski, uno psicologo sperimentale presso l’Oxford Internet Institute, ha scritto una lettera aperta al gruppo di consulenza sulla salute mentale dell’OMS, in cui hanno avanzato serie riserve sulla proposta e hanno sostenuto che era prematuro stabilire criteri specifici per una diagnosi. 

    “Alcuni giocatori presentano gravi problemi a causa del tempo trascorso a giocare ai videogiochi”, hanno scritto. “Tuttavia, non è affatto chiaro se questi problemi possano o debbano essere attribuiti a un nuovo tipo di disturbo e che la base empirica di tale proposta non risponde a questioni di fondo”.

    Gli autori hanno affermato che l’OMS stava attingendo a ricerche di dubbia qualità, che la caratterizzazione del disturbo da gioco era sbilanciata sul gioco d’azzardo e sull’abuso di sostanze e che non vi era consenso sui sintomi o su come valutarli. Sostenevano anche che la definizione di criteri per il disturbo da gioco avrebbe bloccato la ricerca futura sulla validità di questi criteri.

    Se la preoccupazione per la dipendenza dai videogiochi non è altro che una forma di panico morale, l’annuncio dell’OMS aggiunge carburante e rischia di stigmatizzare milioni di persone che passano del tempo ai videogiochi come parte di uno stile di vita normale e sano.

    La posizione dell’OMS presuppone inoltre che il gioco sia una causa piuttosto che un sintomo dei problemi delle persone, il che potrebbe non essere vero. In uno studio pubblicato su “Clinical Psychological Science”, in agosto, Przybylski e Netta Weinstein dell’Università di Cardiff, nel Regno Unito, hanno esaminato i dati di oltre 2.000 adolescenti e hanno scoperto che le persone con problemi di gioco potrebbero avere problemi psicologici o sociali sottostanti. La coppia non crede che ci siano prove sufficienti per considerare la dipendenza dai giochi un disturbo clinico a sé stante.

    Tuttavia, coloro che spingono per una classificazione formale sostengono che in tal modo si consente alle persone che hanno un problema di accedere a una terapia. I medici sono più consapevoli del disturbo e le compagnie assicurative sono più disponibili a coprire le spese mediche.

    “La maggior parte delle persone che hanno problemi con l’alcol non sono alcolisti”, afferma Jennings. “E lo stesso vale per i giochi. I bambini possono avere qualsiasi problema, ma ciò non significa che abbiano sviluppato una dipendenza. D’altro canto, si rischia di dire alle persone con un reale problema di dipendenza che una qualche forma di riduzione potrebbe aiutare, invece di offrire loro il supporto effettivo di cui hanno bisogno”.

    Jennings ha dapprima eliminato i giochi di ruolo online multiplayer, che offrono mondi virtuali coinvolgenti e avventure senza fine. Per un po’ si è limitato al bridge online. Ma anche quello è sfuggito al controllo. Quindi si è disconnesso e ha provato a giocare offline. Pensava che forse non giocando con altre persone, avrebbe potuto rendere i giochi meno avvincenti. Ma il problema non era quanto il gioco fosse coinvolgente. “Ho avuto un periodo in cui giocavo compulsivamente a Minesweeper sul mio computer”, spiega Jennings.

    Ha provato a prendersi una pausa. Dopo aver parlato con lo sponsor degli alcolisti anonimi che lo aiutava, Jennings ha smesso di giocare per un paio di settimane e si è convinto di aver avuto una dipendenza temporanea. Ha quindi iniziato a pensare che avrebbe potuto giocare di nuovo. “Quel pensiero mi ha tormentato fino a quando finalmente l’ho cancellato”, egli racconta.

    E’ stato allora che ha iniziato a cercare online un programma di recupero specifico per i giochi. Quello che ha trovato invece erano forum pieni di giocatori e le loro famiglie che si trovavano nella sua stessa situazione.  “Alla fine mi sono reso conto della gravità della mia situazione e mi sono fermato”, egli afferma. Era il 2012. Jennings non si avvicina a un videogioco da sette anni.

    In un certo senso, è stato più difficile abbandonare i giochi rispetto all’alcool, principalmente a causa della mancanza di supporto psicologico. Con l’aiuto dello sponsor degli AA, ha organizzato incontri quotidiani su un forum di ex giocatori che si parlavano via Skype.

    Ma anche questo non è sufficiente, egli dice. Molti tossicodipendenti da alcol o droghe devono andare alle riunioni di recupero ogni giorno e parlare al telefono con i loro sponsor giorno e notte. Jennings sostiene che deve il suo recupero dalla dipendenza da gioco al fatto che faceva ancora parte del programma AA. Se le persone non hanno affrontato un altro tipo di dipendenza, hanno molte più difficoltà a uscirne perché non hanno incontri faccia a faccia nel gruppo che li aiutano a non mollare.

    Jennings ha quindi creato Computer Gaming Addicts Anonymous (CGAA). Il gruppo si incontra principalmente tramite teleconferenze, ma si cerca nei limiti del possibile di organizzare riunioni di persona. CGAA gestisce un elenco di e-mail relativo a circa 200 città e avvisa le persone dei gruppi nella loro zona. Tuttavia, con solo poche centinaia di membri in totale, è difficile organizzare incontri anche in grandi città come New York. Di solito si arriva a riunioni con tre o al massimo cinque persone, dice Jennings. Ma la voce si sta lentamente diffondendo.

    Uno dei membri di Londra, Adrian Williams, afferma di aver provato altri gruppi online prima, ma di non aver mai ricevuto abbastanza supporto. Come Jennings, dice che l’unica cosa che funziona per lui è l’astensione completa, il che è difficile. “Cercare di capire come cavarsela, anche in preda alla disperazione, è la natura della dipendenza”, egli spiega.  “Ho fatto giochi che neanche mi piacevano fino ad arrivare al punto che avrei voluto rompere tutto, ma ho continuato a giocare”. Ne esci solo se hai qualcuno che ti aiuta.

    CGAA non è il solo gruppo organizzato a chiedere ai membri di rinunciare al gioco. Negli ultimi anni, negli Stati Uniti, le cliniche private hanno curato pazienti, in genere giovani adolescenti o ventenni, inviati lì da genitori disperati.
    ReSTART, nello stato di Washington, offre un campo di addestramento per la disintossicazione digitale, con escursioni nella foresta, lezioni di ginnastica e lunghe ore di inattività in cui si impara lentamente a essere liberi dai dispositivi.

    Un gruppo chiamato GameQuitters, gestito da Cam Adair, che aveva seri problemi da dipendenza dal gioco, ora diventato speaker motivazionale, raccomanda The Edge, un centro di riabilitazione nel nord della Thailandia. Agli ospiti viene offerto un trattamento che si basa sulla CBT e sulla metodologia degli Alcolisti Anonimi.

    Il sito di GameQuitters invita i giocatori e i loro cari a rispondere a un quiz con nove domande tratte da un elenco che l’American Psychiatric Association suggerisce di utilizzare per lo screening della dipendenza da videogiochi.
    Una delle domande, per esempio, è: “Ti senti irrequieto, irritabile, lunatico, arrabbiato, ansioso, annoiato o triste quando provi a smettere di giocare o giochi di meno del solito o non puoi farlo?”.

    Una volta che hai inviato le risposte, ti viene detto che qualsiasi punteggio superiore a cinque prevede un intervento immediato. Tuttavia, come ammettono Jennings e Williams, staccare completamente la spina è l’ultima risorsa. La stragrande maggioranza dei giocatori in cerca di aiuto online è semplicemente alla ricerca di un migliore equilibrio tra gioco e vita.

    Alok Kanojia ha dovuto quasi abbandonare l’Università del Texas ad Austin perché stava davanti ai videogiochi per tutta la notte e dormiva durante le lezioni. Dopo due anni di college, il tempo passato con giochi come Super Mario Bros e The Legend of Zelda aveva portato la sua media di voti scolastici (GPA) sotto il 2. “Mi ricordo che avevo una vaga idea di voler fare il medico, ma sapevo che quel futuro stava scivolando via”, egli dice.

    Nel 2003, a 21 anni, decise di diventare monaco e andò a vivere in India. Per i successivi sei anni si è spostato avanti e indietro tra gli Stati Uniti e l’India, studiando meditazione e yoga, che secondo lui gli ha permesso di acquisire l’autocoscienza e l’autocontrollo di cui aveva bisogno per rimettere in moto la sua carriera.

    Con un duro lavoro per recuperare crediti e un po’ di fortuna – incluso il supporto di un consulente che studiava il tai chi e il rapporto tra neuroscienze e meditazione – alla fine è arrivato alla facoltà di medicina di Tufts nel 2010. Ha poi continuato gli studi presso il McLean Hospital (una delle strutture psichiatriche più importanti del mondo) e ha conseguito una borsa di studio presso la Harvard Medical School, dove attualmente insegna.

    Kanojia non ha mai smesso di giocare ai videogame e ha continuato a passare molto tempo su giochi multiplayer online come StarCraft, Diablo e World of Warcraft. È riuscito però a bilanciare questa sua passione con la carriera.

    Ma si è reso conto che molti dei suoi compagni di gioco, ormai trentenni, vivevano con i genitori e non erano autonomi. Ha iniziato a chattare con loro e altri giocatori che ha incontrato online, usando le sue conoscenze psichiatriche per aiutarli.

    Con la sua esperienza di clinico, Kanojia viveva un contrasto lacerante. Non poteva aiutare oltre una certa misura tutte queste persone, ma sapeva che non avevano molte altre opzioni. La maggior parte di loro, infatti, non stava cercando di smettere né tantomeno aveva deciso di avviare un programma di riabilitazione.

    La sua soluzione è stata Healthy Gamer, una startup che ha cofondato all’inizio di quest’anno con sua moglie, che gestisce l’azienda. Il loro obiettivo è aiutare le persone vendendo video e l’accesso a una community di supporto online. L’intuizione chiave che modella l’approccio di Kanojia è che l’attrazione dei videogiochi cambia di persona in persona. 

    Il giocatore “sano” inizia facendo capire alle persone perché sono attratte dai giochi e li incoraggia a trovare modi per ottenere la stessa soddisfazione da una fonte diversa. Nel caso di Kanojia, lui era stato vittima di bullismo a scuola e andava male al college; i giochi gli avevano dato quel senso di fiducia in sè che non aveva altrove.

    Le persone che passano diverse ore in un gioco di ruolo online multiplayer come World of Warcraft lo fanno in parte perché diventa la loro vita sociale e i giocatori che incontrano nel gioco diventano amici. Alcuni stabiliscono relazioni strette e persino sposano le persone che hanno incontrato in un gioco. Questa offerta di amicizia genuina è un grande richiamo per molti giocatori, in particolare per coloro che hanno una vita sociale limitata.

    “Ogni essere umano ha bisogno di rapporti e i videogiochi ci aiutano ad averli”, afferma Kanojia. “Ci offrono un senso di fiducia in noi stessi, la sensazione di essere imbattibili.” Gli sparatutto online come Fortnite o Call of Duty richiedono estrema abilità, lucidità e riflessi perfetti per avere successo. Per i giocatori che – per qualsiasi motivo – trovano difficile soddisfare le stesse esigenze al di fuori di un gioco, è facile capire come questo hobby possa iniziare a sostituire attività ritenute più salutari.

    Kanojia fa notare che i ricercatori stanno iniziando a identificare diversi tipi di personalità dei giocatori. Per esempio, il modello BrainHex, sviluppato da Lennart Nacke dell’Università di Waterloo, in Canada, ne elenca sette tipi: vincente, conquistatore, temerario, strategico, ricercatore, sociale e sopravvissuto. Le classificazioni, che conferma l’idea che le persone giocano per diversi motivi, potrebbero aiutare i singoli giocatori a capire cosa li coinvolge nei giochi che più li attraggono.

    Sul forum online di Reddit sulla dipendenza da gioco, Kanojia ha avuto modo di parlare con una madre in Iran preoccupata per suo figlio. Lei aveva chiuso a chiave il cavo di alimentazione della console di gioco del figlio in un armadio, ma aveva scoperto che di notte lui apriva il lucchetto, tirava fuori il cavo e giocava alla PlayStation fino alle cinque del mattino. 

    Kanojia non fa riferimento ai modelli di dipendenza basati sull’uso di sostanze perché presumono che esista un agente specifico, che sia alcool o un’altra droga, che abbia un effetto specifico sul cervello. “A differenza delle sostanze, i videogiochi possono influenzare così tante diverse parti del cervello e influire in modo molto più subdolo”, egli spiega.

    Potrebbero esserci dei parallelismi con il gioco d’azzardo nella misura in cui comporta dipendenze comportamentali piuttosto che chimiche, ma anche il gioco d’azzardo è un surrogato povero. Tuttavia, continua Kanojia, il gioco d’azzardo potrebbe spiegare il fascino di alcuni tipi di giochi, come il popolare Candy Crush, che mescolano un elemento di fortuna con l’estetica delle slot machine. Si possono infatti attivare circuiti compulsivi nella mente affini a quelli implicati nel gioco d’azzardo.

    Alcuni giochi includono esplicitamente meccanismi simili al gioco d’azzardo, come i “forzieri”, vale a dire pacchetti presenti all’interno di videogames che si possono acquistare con soldi veri o virtuali, i quali una volta aperti, ricompensano casualmente il giocatore con oggetti precedentemente nascosti, alcuni preziosi e altri no.

    Uno studio pubblicato quest’anno su “PLOS One” sostiene che le persone con una storia problematica nei confronti del gioco d’azzardo hanno maggiori probabilità di spendere soldi in tali “forzieri” piuttosto che in altri oggetti venduti nei giochi.

    I governi olandese e belga hanno stabilito che i forzieri sono soggetti alle leggi sul gioco d’azzardo. In risposta, una manciata di giochi, incluso il popolare sparatutto in prima persona Counter Strike: Global Offensive e Rocket League, una sorta di calcio virtuale giocato con veicoli fuoristrada, ha disabilitato la funzionalità per i giocatori in quei paesi. 

    Ma il comportamento simile al gioco d’azzardo è solo una parte del quadro. La grande varietà di esperienze che attira i giocatori nei giochi e li fidelizza non può essere ridotta a un singolo effetto.

    Jennings e Kanojia hanno dovuto trovare le proprie vie d’uscita. Entrambi hanno riconosciuto che stavano esagerando con i videogiochi, ed entrambi sono riusciti a correre ai ripari. Eppure sono arrivati a conclusioni molto diverse: Jennings ha abbandonato del tutto il gioco, mentre Kanojia no. 

    Ora usano ciascuno le loro diverse esperienze per aiutare gli altri. È troppo presto per dire se un approccio è migliore dell’altro o se uno dei due è migliore degli approcci ispirati alla CBT offerti da alcune cliniche.

    Per Kanojia, il crescente riconoscimento generale dei disturbi del gioco è il benvenuto. Spera che incoraggerà una discussione più aperta e farà sentire le persone che affrontano problemi legati al gioco meno isolate. Jennings ora ha un figlio piccolo e pensa molto a come proteggerlo.

    “Non voglio che mio figlio soffra di qualche forma di dipendenza. Credo che la risposta giusta sia che lui viva un’infanzia felice e abbia buone relazioni con gli altri e sappia come affrontare lo stress”, egli spiega.

    L’approccio adottato da Jennings con suo figlio riflette le relazioni ricche e complesse che le persone hanno con i giochi. Alcune persone potrebbero semplicemente essere più vulnerabili a comportamenti di dipendenza. I loro problemi stanno giustamente iniziando a essere riconosciuti. Ma ci sono milioni di persone che forse giocano più di quanto dovrebbero – stare alzati troppo tardi, saltare le lezioni – ma non sono dipendenti. Etichettarli con un disturbo clinico non è utile.

    Chiunque discuti sulla dipendenza da videogiochi deve fare un passo indietro e chiedersi a cosa servono i giochi.
    Probabilmente, tra tutti, uno dei principali scopi è quello di fuggire dal mondo per un certo periodo. Ma cosa succede se ci si trova bene fuggendo? In definitiva, come per la depressione, l’alcolismo e altre malattie, le domande sul disturbo dei videogiochi sono domande su come la società sceglie di tracciare linee tra la patologia e la normalità. 

    Immagine: Fortnite

    (rp)

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