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    La China Initiative: un caso da manuale

    L’indagine di “MIT Technology Review” è durata un mese e ha rivelato una lunga serie di contraddizioni e “manipolazioni” relative a un’importante iniziativa del Dipartimento di Giustizia americano. Nell’articolo seguente viene presentata una ricostruzione di come si è giunti a questa conclusione.

    di Eileen Guo, Jess Aloe e Karen Hao

    Da quando il governo degli Stati Uniti ha lanciato la China Initiative nel 2018, la principale fonte di informazioni al riguardo sono stati i comunicati stampa sulla pagina web relativa all’iniziativa del Dipartimento di Giustizia in cui venivano annunciati arresti, accuse e incriminazioni. Ma la documentazione è incompleta. Le associazioni per i diritti civili, fin dall’inizio preoccupate dai potenziale sviluppi di profilazione razziale, hanno registrato lacune e incongruenze nei messaggi del DOJ e alcune di loro hanno creato i propri elenchi di casi e monitorato le modifiche apportate alla pagina web dell’iniziativa.

    Per esempio, il DOJ ha omesso dalla pagina alcuni casi definiti in precedenza dai suoi funzionari come “da manuale”. Tra questi, il caso del professore del MIT Gang Chen, che è stato accusato di non aver rivelato contratti, nomine e riconoscimenti da entità cinesi mentre riceveva sovvenzioni federali dal Dipartimento dell’Energia (Il MIT, che è il proprietario di “Technology Review”, sta pagando per la sua difesa e afferma che il contratto principale in questione era tra il MIT e un’università cinese).

    Nel frattempo, altri casi, come quello del ricercatore della Cleveland Clinic Qing Wang, accusato di dichiarazioni false e di frode telematica relativa alla mancata divulgazione di sovvenzioni e posizioni in Cina, sono stati rimossi senza alcuna spiegazione dopo che le accuse sono state archiviate. 

    La China Initiative del governo degli Stati Uniti è nata per proteggere la sicurezza nazionale. Nell’analisi più completa dei casi fino ad oggi, “MIT Technology Review” rivela quanto l’iniziativa si sia allontanata dai suoi obiettivi. Lo stesso Dipartimento di Giustizia non è stato molto collaborativo. Come viene spiegato in un altro articolo, i funzionari del Dipartimento di Giustizia non sono finora riusciti a fornire una definizione chiara di ciò che costituisce un caso della China Initiative, o di quanti casi in totale si stia parlando. Questa mancanza di trasparenza ha reso impossibile capire esattamente cosa sia questa iniziativa, che risultati abbia ottenuto e quali siano stati i costi per coloro che ne hanno subito le conseguenze in modo sproporzionato. 

    “Mi piacerebbe vedere un bilancio”, ha detto Jeremy Wu, che ha ricoperto posizioni di alto livello in materia di diritti civili ed etica nel governo degli Stati Uniti prima di co-fondare l’APA Justice Task Force, uno dei gruppi che segue in modo indipendente la China Initiative. “Cosa abbiamo guadagnato? Quante spie abbiamo catturato, rispetto a quanti danni sono stati fatti non solo agli individui, ma anche al futuro della scienza e della tecnologia americana?”.

    Il database di “MIT Technology Review” non risponde alla domanda sul bilancio complessivo, ma è un passo importante verso la risposta ad alcuni degli interrogativi che Wu pone, a cui il governo degli Stati Uniti non ha ancora risposto. Piuttosto, il Dipartiemnto di Giustizia ha aumentato la confusione in quanto, due giorni dopo aver ricevuto una richiesta di commento, ha apportato importanti aggiornamenti alla sua pagina Web, rimuovendo i casi che non supportano la sua narrativa di una iniziativa di controspionaggio di successo.

    Come è stato preparato il database?

    Questa primavera, “MIT Technology Review” ha iniziato a cercare tra tutti i comunicati stampa collegati alla pagina web della China Initiative del Dipartimento di Giustizia e ha visionato migliaia di pagine di atti della corte federale relativi a ciascun caso, utilizzando queste informazioni per creare il database. Sono stati anche esaminati ulteriori documenti giudiziari e dichiarazioni pubbliche di funzionari dell’FBI e del DOJ per trovare casi che erano stati rimossi dalla pagina web o che non erano mai stati inclusi. 

    Successivamente, queste informazioni sono state integrate con interviste con avvocati difensori, familiari degli imputati, ricercatori che hanno collaborato, ex pubblici ministeri statunitensi, difensori dei diritti civili, legislatori e studiosi esterni. Sono risultati diversi casi che erano stati lasciati fuori dall’elenco pubblico del DOJ, ma che sono stati descritti pubblicamente come parte dell’iniziativa o si adattano allo schema ufficiale di accademici che nascondono i legami con le istituzioni cinesi, di hacker che presumibilmente lavorano per il governo cinese, o di trasferimenti illeciti di tecnologia. 

    L’obiettivo della rivista americana era creare un database il più completo possibile dei procedimenti giudiziari della China Initiative. I tentativi di tracciamento si sono intensificati a giugno, quando il Dipartimento di Giustizia ha smesso di aggiornare la sua pagina web sulla China Initiative. Questo lasso di tempo coincide grosso modo con le dimissioni di John Demers, l’assistente del procuratore generale che era stato responsabile della divisione per la sicurezza nazionale che sovrintendeva all’iniziativa.

    Una volta creato un database approssimativo e analizzato i dati, “MIT Technology Review” ha confrontato i materiali con Wu, dell’APA Justice Task Force e con l’Asian Americans Advancing Justice | AJC, un’altra associazione per i diritti civili che segue i casi, e ha condiviso i risultati iniziali con un piccolo gruppo di legislatori, rappresentanti di organizzazioni per i diritti civili e studiosi.

    Cosa ha cambiato il Dipartimento di Giustizia

    Il 19 novembre, due giorni dopo che “MIT Technology Review” si è rivolto al Dipartimento di Giustizia con domande sull’iniziativa, tra cui una serie di casi che ritenevano fossero stati omessi o inclusi erroneamente, il dipartimento ha apportato importanti revisioni alla pagina web della China Initiative. Questi cambiamenti sono estesi, ma non hanno davvero chiarito gran parte della confusione intorno all’iniziativa. Anzi, in qualche modo l’hanno peggiorata.

    Nella foto di copertina si può vedere la pagina web sulla China Initiative del DOJ come è apparsa il 18 novembre, e a destra c’è la pagina web del 19 novembre, dopo che “MIT Technology Review” ha contattato il dipartimento con alcune domande. Gli elementi in giallo sono stati eliminati, mentre gli elementi in blu sono stati aggiunti, come si può ben vedere collegandosi a Webarchive.org.

    Pur non rispondendo alle domande specifiche, Wyn Hornbuckle, il portavoce della divisione di sicurezza nazionale del DOJ, ha informato la rivista americana tramite e-mail che il personale “stava aggiornando la nostra pagina Web per riflettere alcuni dei cambiamenti, degli aggiornamenti e dei licenziamenti”. Ha anche condiviso i numeri a disposizione del dipartimento. “Dal novembre del 2018”, scrive il Dipartimento, “abbiamo avviato o risolto nove procedimenti giudiziari per spionaggio economico e sette casi di furto di segreti commerciali collegati in qualche modo alla Repubblica popolare cinese. Altri 12 casi riguardano frodi alle università e/o istituzioni che offrono borse di studio”. 

    “MIT Technology Review” ha trovato molti più casi di integrità della ricerca rispetto ai 12 dichiarati, ma solo 13 dei 23 casi relativi a questa categoria inclusi nel suo database sono attualmente sul sito web (uno di questi casi è stato risolto prima che le accuse potessero essere presentate). Sei si sono conclusi con dichiarazioni di colpevolezza e sette sono ancora in sospeso. Sette degli otto casi di integrità della ricerca che si sono conclusi con licenziamenti o assoluzioni erano precedentemente inclusi nel sito web, ma ora il DOJ li ha rimossi dalla sua lista. 

    L’analisi della rivista americana ha mostrato 12 casi per furto di segreti commerciali o spionaggio economico dal novembre del 2018. Dieci sono elencati sul sito del Dipartimento di Giustizia (due erano procedimenti giudiziari correlati, sebbene siano state mosse accuse separate). Di questi 10, sette riguardavano solo il furto di segreti commerciali e non l’accusa più grave di spionaggio economico. Uno comprendeva sia spionaggio economico che furto di segreti commerciali. Gli altri due erano casi di hacking: uno per spionaggio economico e uno per furto di segreti commerciali. 

    Il Dipartimento di Giustizia non ha risposto alle molteplici richieste di una ripartizione più dettagliata dei suoi numeri. I dati raccolti successivamente da “MIT Technology Review” hanno mostrato che il DOJ aveva rimosso 17 casi e 39 imputati dalla sua pagina sulla China Initiative, aggiunto due casi con un totale di cinque imputati e aggiornato i casi esistenti con le informazioni sulla condanna e sul processo, ove disponibili. Hornbuckle non ha risposto a una richiesta di commento.

    I funzionari del DOJ hanno ampiamente pubblicizzato alcuni di questi imputati come casi della China Initiative. Un esempio è quello di Anming Hu, un professore di nanotecnologia dell’Università del Tennessee, che è stato il primo caso di integrità della ricerca ad essere processato. È stato assolto a settembre e il suo caso non è più elencato come China Initiative nonostante il comunicato stampa originale che annunciava il suo arresto affermasse: “Questo caso fa parte della China Initiative del Dipartimento di Giustizia”.

    Secondo la rivista americana, un ex funzionario del DOJ, che ha poi smentito, avrebbe detto in privato che alcuni casi, come quello di un uomo che ha organizzato un contrabbando di tartarughe, in origine potrebbero essere stati aggiunti all’elenco del dipartimento per errore (il caso di contrabbando di tartarughe è stato uno dei 17 che sono stati rimossi dopo che “MIT Technology Review” ha contattato il DOJ).

    All’estremo opposto, il funzionario ha aggiunto che il caso di Chen, il professore del MIT, potrebbe essere stato omesso in origine perché le sue accuse sono state annunciate il 14 gennaio, all’indomani dell’insurrezione del 6 gennaio, e il personale chiave delle comunicazioni del DOJ era altrimenti occupato (l’incriminazione di Chen è stata annunciata il 14 gennaio). “Senza una definizione più precisa della portata e dei confini della China Initiative, le informazioni possono essere manipolate per adattarsi alla narrativa del governo”, ha affermato Jeremy Wu dell’APA Justice Task Force. “Il cambiamento nel rapporto online del DOJ aggiunge ancora più confusione e incertezza su ciò che può essere definito un caso della China Initiative e cosa no”. 

    Una guida al database

    Il databasedi “MIT Technology Review” mostra dettagli importanti sugli imputati legati alla China Initiative, inclusi i nomi , le accuse, le loro dichiarazioni, gli esiti e il riepilogo generale dei casi. Trentasette casi presenti nel database, quasi la metà del totale, sono ancora in corso e le accuse del governo contro di loro non sono ancora provate. Tutti gli imputati dovrebbero essere considerati innocenti fino a prova contraria.

    Sono presenti anche altre informazioni sugli imputati, come il settore tecnologico in cui stavano lavorando, le organizzazioni a cui erano affiliati e le istituzioni vittime colpite dai presunti crimini. Vengono anche elencati eventuali collegamenti a programmi di reclutamento universitario sponsorizzati dallo stato cinese che mirano a sviluppare talenti, per acquisire competenze nazionali in aree cruciali della scienza e della tecnologia. Questi piani sono considerati dal governo degli Stati Uniti come “una minaccia per l’impresa della ricerca statunitense ” e un incentivo a commettere furti di proprietà intellettuale. 

    A volte, alcuni campi sono contrassegnati come “Sconosciuto”. Ciò significa che è sconosciuto alla rivista americana, non necessariamente ai pubblici ministeri. Per esempio, le aziende che sono state vittime di hacking o furto di segreti commerciali sono state spesso citate negli atti giudiziari solo come “Azienda A” o “Azienda B”. 

    Sono anche incluse tutte le accuse mosse contro gli imputati. Alcune di queste sono state aggiunte settimane, mesi o addirittura anni dopo l’apertura del caso. Gli imputati che si sono dichiarati o sono stati giudicati colpevoli sono stati spesso condannati solo per un sottoinsieme di queste accuse. Nella sezione dei risultati sono riportate le accuse per cui ci sono condanne. I casi sono ordinati per categoria , suddividendoli in gruppi in base ai fatti principali contenuti nelle accuse del Dipartimento di Giustizia nei loro confronti. Gli imputati e i casi rientrano in una delle seguenti categorie:

    Agente di un governo straniero: azioni illegali per conto del governo cinese.
    Corruzione: violazioni del Foreign Corrupt Practices Act. 
    Furto di segreti commerciali: furto di proprietà intellettuale o informazioni commerciali riservate. 
    Spionaggio economico: furto di segreti commerciali a beneficio di un governo straniero.
    Spionaggio: contatti impropri o azioni per conto di funzionari dell’intelligence straniera.
    Hacking: accesso illegale a sistemi informatici, di solito per rubare informazioni.
    Importazione/esportazione: violazioni delle leggi sull’importazione o sull’esportazione.
    Integrità della ricerca: mancata divulgazione di conflitti di interesse o affiliazioni estere, nonché accuse di condivisione di informazioni scientifiche non pubbliche.
    Altro: casi anomali.

    Lo spionaggio economico e il furto di segreti commerciali rientrano entrambi nell’ambito delle violazioni dell’Economic Espionage Act, ma lo spionaggio economico richiede la prova che il furto fosse destinato in ultima analisi a beneficiare un governo straniero, rendendo più difficile l’accusa per i pubblici ministeri. Lo spionaggio economico comporta anche pene massime più severe.

    Infine, per comprendere meglio le affermazioni sull’orientamento etnico dell’iniziativa, sono state prese in considerazione la cittadinanza, la razza e l’eredità culturale cinese di ciascun imputato. Gli atti giudiziari tendono a descrivere i cittadini stranieri come tali, quindi la rivista americana ha ritenuto che gli altri fossero cittadini statunitensi. 

    Sono state ricontrollate queste ipotesi nelle biografie accademiche/professionali elencate online e nei rapporti dei media, inclusi i rapporti in lingua locale (non in inglese) e in alcuni casi con i funzionari consolari. Gli individui sono considerati di origine cinese se loro o la loro famiglia rivendicano antenati dalla Cina, indipendentemente da dove sono nati o dal loro status di cittadinanza. Si è fatto uso dei nomi per determinare se gli individui erano di origine cinese e per aiutare a determinare la loro etnia (asiatica, caucasica, afroamericana), incrociando le biografie online e i resoconti dei media. 

    In merito alla trasparenza

    Innanzitutto, la rivista vuole essere chiara su possibili equivoci su interessi di parte o pregiudizi e ricorda che “MIT Technology Review” è di proprietà, sebbene editorialmente indipendente, del Massachusetts Institute of Technology. 

    Un rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento della Pubblica Istruzione ha rivelato che, tra le università degli Stati Uniti che svolgono i più alti livelli di attività di ricerca, il MIT ha ricevuto la più alta quantità di denaro nel periodo 2015-2019 da fonti di finanziamento che si trovano fisicamente all’interno della Repubblica popolare cinese: 125.008.331 dollari. Inoltre, il MIT sta pagando la causa del suo professore Gang Chen, accusato di frode telematica, false dichiarazioni e mancata segnalazione di un conto bancario estero. 

    In secondo luogo, in una storia che mostra enormi disparità razziali nei procedimenti giudiziari contro i ricercatori, si fa notare che Eileen Guo e Karen Hao, due dei reporter dello staff che hanno prodotto questo lavoro, sono cittadini statunitensi di origine cinese. La loro etnia non gioca un ruolo nei nostri dati o analisi, sebbene significhi che le giornaliste hanno una comprensione intima del sentimento anti-asiatico.

    Infine, quando si parla di come le accuse sulle sovvenzioni federali possono essere utilizzate per punire e intimidire le persone, la rivista ricorda di avere avuto esperienza diretta di questo modo di agire. Guo, la giornalista di “MIT Technology Review”, era in precedenza l’amministratore delegato di un’azienda con sede a Kabul, in Afghanistan, chiamata Impassion Afghanistan, che gestiva giornalismo cittadino e progetti di tecnologia civica. 

    Nel 2018, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato che Impassion non aveva fornito documentazione sufficiente per sostenere alcuni dei suoi costi e l’ha bloccata. Impassion ha impugnato la decisione, un processo che ha incluso la presentazione di migliaia di pagine di contabilità forense, che sono state sbrigativamente ignorate. Il governo non ha mai affermato che Guo fosse personalmente responsabile e il Dipartimento di Giustizia non è mai stato coinvolto. 

    (rp)

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