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    Scoperto un elemento chiave della memoria immunitaria

    Ricercatori giapponesi hanno identificato una parte fondamentale della memoria a lungo termine del sistema immunitario, fondamentale alla progettazione di vaccini sempre più efficaci alla prima dose. 

    di Lisa Ovi

    Quanto dura l’immunità https://www.technologyreview.it/l-immunita-al-virus-potrebbe-durare-per-anni al SARS-CoV-2 dopo la guarigione? E dopo il vaccino? Sono alcune delle domande più pressanti di questi (quasi) due anni di pandemia. Protagonista: la memoria immunologica, il meccanismo che rende i vaccini così efficaci, risultato di un adattamento evolutivo del sistema immunitario https://www.technologyreview.it/covid-19-il-sistema-immunitario-reagisce che, ‘ricordando’ gli antigeni già incontrati, sviluppa l’abilità di reagire con rapidità ed efficacia a infezioni successive. 

    Solitamente si attribuisce la memoria immunologica all’esistenza di cellule adattative come le cellule B e cellule T, https://www.technologyreview.it/un-gene-mette-a-punto-il-sistema-immunitario evolutesi proprio per formare dei “banchi di memoria”. Le cellule B attraverso la produzione di anticorpi e le cellule T attraverso una varietà di altri meccanismi, sono mediatori critici della protezione immunitaria del corpo. 

    Negli ultimi anni, però, lo studio dei dei meccanismi a cui dobbiamo la differenziazione delle popolazioni di queste cellule di memoria ha portato alla consapevolezza che il processo è influenzato da fattori esterni come interni ed esistono altri tipi di cellulecapaci di mediare forme diverse di memoria immunitaria. 

    Un nuovo elemento chiave della memoria a lungo termine del sistema immunitario è stato recentemente identificato da ricercatori della University of Tokyo. La ricerca, pubblicata sul Journal of Experimental Medicine, rivela un nuovo ruolo dell’enzima TBK1 nel decidere il destino delle cellule B della memoria del sistema immunitario, un dettaglio che potrebbe rivelarsi utile nella creazione di nuovi vaccini contro malattie diverse, dal COVID-19 alla malaria.

    I ricercatori hanno puntato l’attenzione su due tipi di cellule in particolare, i globuli bianchi chiamati cellule T helper follicolari CD4+ e le cellule B. Quando il corpo riconosce di essere sotto attacco, le cellule T helper follicolari rilasciano segnali chimici che inducono le cellule B immature ad acquisire e ricordare le informazioni corrette sugli agenti patogeni da attaccare. Questo processo di segnalazione delle cellule T-to-B e di formazione delle cellule B avviene all’interno di una struttura cellulare temporanea chiamata centro germinativo negli organi del sistema immunitario, tra cui troviamo milza, linfonodi e tonsille. 

    Le cellule B di memoria sviluppate all’interno del centro germinativo ‘ricordano’ le caratteristiche di agente patogeno sin dalla prima infezione.

    “Uno degli obiettivi della vaccinazione è produrre cellule B di memoria di alta qualità capaci di produrre anticorpi a lunga durata”, spiega Michelle S.J. Lee dell’UTokyo Institute of Medical Science, prima autrice della recente pubblicazione. “I fattori da prendere in considerazione quando si progettano vaccini per un’immunità di lunga durata sono molti, non ci si può concentrare sul solo centro germinativo. Ciononostante, senza un centro germinativo funzionale si rimane molto suscettibili alla reinfezione”, conclude Lee.

    Eppure, malattie come la malaria sfuggono a questo processo mnemonico e non c’è limite al numero di volte in cui si può essere reinfettati dal suo parassita. Come fanno i parassiti della malaria a sfuggire alle memoria delle cellule B? 

    Nel corso degli anni, la comunità scientifica ha identificato un’ampia gamma di ruoli per la molecola TBK1, un enzima in grado di alterare l’attività di geni o altre proteine ​​mediante l’aggiunta di tag chimici, attraverso un processo chiamato fosforilazione. TBK1 ha ruoli ben noti nell’immunità antivirale. Tuttavia, nessun gruppo di ricerca aveva collegato TBK1 al destino delle cellule B e al centro germinativo.

    La ricerca è stata condotta mettendo a confronto la reazione del sistema immunitario all’infezione da malaria in topi normali e topi con i geni TBK1 disattivati. Esaminati campioni delle milze e dei linfonodi di questi topi, i ricercatori hanno potuto constatare che in assenza degli enzimi TBK1, non si osserva alcuna formazione di i centri germinali. I topi privi di TBK1 avevano maggiori probabilità di morire e di morire più velocemente, ed anche in caso di sopravvivenza, rimanevano particolarmente esposti alla reinfezione. 

    I ricercatori sperano che alla fine, con una conoscenza più fondamentale dei restanti misteri del sistema immunitario, i vaccini del futuro possano essere progettati per produrre un’immunità sempre più duratura, potenzialmente senza bisogno di richiami. Tuttavia, la progettazione del vaccino sarà sempre complicata dalle qualità uniche di ciascun agente patogeno e dalle sue versioni mutate, specialmente nel caso di agenti patogeni in rapida evoluzione come Sars-CoV-2, il virus che causa COVID-19.

    (lo)

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