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    Tagliare le emissioni: anche il Kenya fa sul serio

    Eni sta sviluppando biocarburanti che potrebbero rivoluzionare l’industria energetica keniota e che in futuro rappresenteranno un modello per altri Paesi africani.

    di Rachel Elbaum Stafler

    Situato sulla costa orientale dell’Africa, il Kenya è uno dei Paesi più avanzati dell’Africa per quanto riguarda il suo impegno in materia di cambiamento climatico. Il Paese è tra i firmatari dell’Accordo di Parigi e intende ridurre le sue emissioni del 32% entro il 2030, creando anche “un Paese competitivo e fiorente a livello globale, caratterizzato da un’alta qualità di vita”, secondo il piano governativo Vision 2030.

    Lo sviluppo dell’energia verde aiuterà a raggiungere entrambi questi obiettivi. Nel dicembre 2020, il Presidente del Paese Uhuru Kenyatta ha incontrato l’Amministratore Delegato di Eni, Claudio Descalzi, per capire come Eni potrebbe aiutare il Kenya a raggiungere i suoi target ambientali e fornire alle comunità locali un accesso efficiente e sostenibile alle risorse energetiche, riducendo contestualmente la dipendenza dai combustibili fossili di importazione.

    Eni è presente in Kenya dal 2013 e, aspetto altrettanto importante, è stata leader in Italia nella conversione delle raffinerie tradizionali in bioraffinerie che convertono le biomasse in energia. Inoltre, gli impegni del Kenya riflettono quelli di Eni per la decarbonizzazione. L’azienda si è impegnata a decarbonizzare completamente tutti i suoi prodotti e processi entro il 2050. Le bioraffinerie giocano un ruolo importante in questo obiettivo chiave ed Eni prevede di quintuplicare la sua capacità entro il 2050.

    Dopo la riunione di dicembre, Eni si è messa al lavoro sviluppando un piano per mettere in campo la sua esperienza e le sue tecnologie. Il progetto, ora nelle sue fasi iniziali, includerebbe:
    – lo sviluppo del settore agricolo del Kenya per approvvigionare la bioraffineria;
    – la raccolta e la raffinazione dell’olio alimentare usato;
    – la conversione di una raffineria di Mombasa in una bioraffineria che produce diesel rinnovabile e SAF (carburante sostenibile per l’aviazione);
    – lo sviluppo di un impianto di bioetanolo;
    – l’avanzamento delle partnership e dei finanziamenti internazionali.

    “Questo progetto, che richiederà circa cinque anni per poter essere attuato, è un esempio di partnership tra pubblico e privato”, ha commentato l’Amministratore Delegato di Eni Kenya, Enrico Tavolini. “Fin dall’inizio, il governo ha lavorato al nostro fianco per raggiungere i nostri obiettivi.”

    Tavolini ha spiegato che il governo ha costituito dei team per lavorare con le controparti Eni su ogni aspetto del progetto; inoltre, i rappresentanti Eni in Kenya si incontrano regolarmente con i Ministri del Dipartimento dell’Agricoltura e del settore Oil & Gas.

    Per Eni, il progetto si configura come innovativo anche sotto altri punti di vista. Le iniziative dell’azienda di solito interessano solo una delle divisioni aziendali. Il progetto del Kenya, invece, coinvolge Esplorazione, Refining e Chimica, nonché Sostenibilità e Public Affairs.

    “Questo progetto è vincente tanto per il Kenya quanto per Eni in termini di sviluppo del business, oltre che di sviluppo di obiettivi sostenibili, opportunità di lavoro, crescita del PIL, riduzione delle emissioni e molto altro,” ha commentato Angelo Mongioj, Business Development Manager in Green and Traditional Refining and Marketing.

    Il primo passo: lavorare con gli agricoltori

    Eni sta valutando la possibilità di convertire la bioraffineria di Mombasa per produrre diesel rinnovabile e SAF. Il compito del gruppo di lavoro sull’agricoltura è valutare sia le potenziali materie prime per la bioraffineria, sia la loro sostenibilità.

    “La transizione verso un combustibile a basse emissioni di carbonio deve avvenire in modo equo e corretto. Questo significa che la biomassa per la raffineria non deve entrare in competizione con la catena alimentare del Paese, soprattutto se si considera che il Kenya è all’84° posto su 170 Paesi in via di sviluppo in termini di sicurezza alimentare,” ha detto Federico Grati, Responsabile dello sviluppo agricolo in Kenya.

    Insieme al Ministero dell’Agricoltura, il team sta eseguendo una valutazione del settore agricolo del Kenya volta a indentificare congiuntamente le aree target o le regioni più adeguate alle colture. La valutazione riguarda soprattutto le colture di copertura come la senape di Abissinia, da coltivare in rotazione stagionale con i cereali. Il team intende anche esplorare lo sviluppo di colture resistenti alla siccità, come il ricino, in aree meno adatte alla produzione alimentare, offrendo agli agricoltori una fonte aggiuntiva di reddito.

    Circa il 70% dei 54 milioni di abitanti del Kenya si dedica all’agricoltura. Tuttavia, gli agricoltori spesso non hanno accesso ai mercati e le loro competenze agricole, così come i semi stessi, sono poco avanzati. Eni prevede di collaborare con gli agricoltori per consentire loro di coltivare in modo più efficace, oltre a capire come costruire una rete di hub per raccogliere e lavorare la biomassa.

    “Questo progetto è un modello che si rivelerà vantaggioso per le comunità locali e per l’industria energetica nel lungo termine,” ha commentato Grati.

    L’obiettivo è avviare la produzione delle colture keniote nel 2022, ben prima che la bioraffineria in Kenya sia pronta. In quest’ottica, Eni sta cercando di capire come questo olio può rifornire prima le sue due bioraffinerie in Italia, consentendo agli agricoltori accesso al mercato ed entrate importanti in maniera ancora più rapida.

    “Stiamo iniziando in modo graduale. Questo ci permetterà di mettere a punto il modello; una volta che sarà operativo, saremo pronti a replicarlo in altre aree del Paese,” ha detto Grati.

    Convertire una raffineria tradizionale in una bioraffineria

    Il fulcro del progetto in Kenya è la conversione di una raffineria a Mombasa in una bioraffineria. Nel 2014 a Venezia, Eni è stata la prima azienda al mondo a convertire una raffineria di combustibili fossili in una raffineria di biocarburanti. L’azienda ha poi convertito una seconda raffineria a Gela, in Sicilia, nel 2019. Questi due progetti hanno fornito a Eni la tecnologia, il know-how e l’esperienza giusti per convertire e gestire un’ulteriore proprietà.

    Il piano iniziale prevede che la bioraffineria di Mombasa produca 250.000 tonnellate di biocarburante all’anno —sia diesel rinnovabile che SAF— da olio vegetale e olio alimentare usato. La conversione si basa su una tecnologia proprietaria sviluppata da Eni in collaborazione con Honeywell UOP, un importante fornitore internazionale e concessore di licenza di tecnologie.

    La posizione strategica di Mombasa sulla costa offre alla bioraffineria una posizione ideale per esportare eventualmente i suoi prodotti raffinati in altri Paesi. Inoltre, rispetto alla costruzione di una nuova bioraffineria da zero, la conversione di una raffineria esistente ridurrà significativamente il tempo necessario per iniziare le operazioni, riducendo anche i costi.

    “La gestione di una bioraffineria richiede un approccio e una competenza significativamente diversi rispetto alla gestione di una raffineria tradizionale di combustibili fossili, competenze che noi possediamo grazie alle nostre bioraffinerie in Italia,” ha spiegato Andrea Amoroso, Responsabile degli Studi di downstream e petrolchimici di Eni. “Per esempio, un’attenta presa in carico è essenziale durante tutto il processo, compresi il trasporto e lo stoccaggio, per evitare la degradazione dell’olio e la corrosione”.

    L’obiettivo di Eni è utilizzare il più possibile l’infrastruttura esistente nella raffineria, comprese le utenze e le strutture di carico e scarico. La conversione della fabbrica dovrebbe richiedere circa tre anni e impiegherebbe circa 400 persone.

    “Questo sarà il primo impianto in Africa in grado di produrre biocarburanti ed è un grande passo avanti per il Kenya. Siamo leader nell’innovazione e, grazie alla nostra esperienza, negli ultimi 10 anni abbiamo imparato sia come progettare al meglio una bioraffineria, sia come renderla operativa”, ha detto Amoroso.

    Trasformare l’olio alimentare usato in combustibile

    L’olio alimentare usato gioca un ruolo importante nella missione del Kenya di sviluppare la sua economia circolare. Eni attualmente impiega circa il 50% dell’olio alimentare usato disponibile in Italia nella sua bioraffineria e questo sarebbe il suo primo progetto internazionale di questo tipo.

    In primis, l’azienda ha dovuto capire il volume di olio alimentare usato disponibile per la raffinazione in Kenya. Scuole, alberghi e ristoranti potrebbero potenzialmente fornire olio alimentare usato alla bioraffineria; Eni e i suoi partner all’interno del governo devono pensare a come quest’olio potrebbe essere raccolto e consegnato. Il piano iniziale si concentra sullo sviluppo di centri di raccolta dove l’olio confluirebbe dalle cinque maggiori città del Kenya e da quattro aree costiere che rappresentano il fulcro del commercio turistico del paese.

    “Si tratta di un meraviglioso esempio di economia circolare che prende i rifiuti e li converte in un prodotto di energia pulita,” ha commentato Giuseppe Perrone, Responsabile del progetto UCO. “Dimostra anche che un progetto industriale può avere anche un impatto sociale.”

    Bioetanolo: un combustibile pulito per il trasporto e la cucina

    Oltre alla bioraffineria, Eni sta valutando la possibilità di sviluppare un impianto di bioetanolo di seconda generazione (2G). L’impianto raccoglierebbe i rifiuti agricoli per convertirli in bioetanolo, che può essere mescolato alla benzina per migliorare le prestazioni e la qualità del carburante.

    Il Kenya importa attualmente da 1,5 a 2 milioni di tonnellate di benzina ogni anno. La produzione di bioetanolo a livello locale contribuirebbe alla decarbonizzazione del settore dei trasporti. Dopo aver rifornito il mercato locale, Eni guarderebbe anche all’esportazione del bioetanolo verso i mercati internazionali, compresa l’Europa. Inoltre, Eni sta valutando altri modi di utilizzo del bioetanolo, ad esempio come combustibile pulito per la cucina domestica, al posto del carbone o di altre opzioni meno ecologiche.

    Lavorando a stretto contatto con il governo, l’azienda sta attualmente cercando potenziali location per l’impianto nel Kenya occidentale, dove potrebbe trarre vantaggio dai rifiuti agricoli degli zuccherifici locali. L’obiettivo è creare fino a tre impianti di bioetanolo in Kenya, in grado di produrre 50 chilotonnellate di bioetanolo l’anno.

    “Il processo di bioetanolo di seconda generazione potrebbe valorizzare i residui di biomassa già disponibili nel Paese, creando una nuova catena del valore per le attività agro-industriali non in concorrenza con quella alimentare. Si tratta di un nuovo settore, e noi siamo in una posizione particolarmente vantaggiosa per guidare il suo sviluppo con la nostra tecnologia proprietaria Proesa,” ha detto Rita Calento, Business Development Manager di Versalis, la controllata chimica di Eni.

    Coinvolgere partner internazionali per lo sviluppo

    Uno dei componenti chiave necessari per la transizione energetica del Kenya sono le partnership e il sostegno di enti internazionali quali CDP, la Banca europea per gli investimenti, la IFC World Bank e la Banca africana di sviluppo. L’obiettivo di Eni è sviluppare questo nuovo progetto secondo i più alti standard internazionali.

    Le istituzioni finanziarie di sviluppo potrebbero potenzialmente sostenere il progetto in tre modi:
    – finanziamenti e prestiti per sostenere Eni nella costruzione della bioraffineria e degli impianti di bioetanolo, così come l’estrazione dell’olio dai semi e dalle materie prime;
    sviluppo agricolo
    – Eni faciliterebbe il contatto tra le agenzie di cooperazione e gli agricoltori kenioti, ma non sarebbe direttamente coinvolta con le istituzioni internazionali che offrono finanziamenti o prestiti;
    dialogo politico
    – Eni aiuterebbe a facilitare il confronto tra queste istituzioni e il governo keniota in modo da favorire lo sviluppo dell’ambiente normativo del Paese.
    Anche se il progetto è in una fase embrionale, Eni ha già iniziato a dialogare con le istituzioni di finanziamento per coinvolgerle nello sviluppo del piano.

    “La transizione energetica è partita da una situazione di necessità, ma sappiamo che esistono implicazioni sociali correlate”, ha detto Francesca Ciardiello, Institutional Business Development Support Manager di Eni. “Vogliamo coinvolgere le istituzioni finanziarie che condividono lo stesso equo mandato di transizione in modo che possano aiutarci a rendere disponibili le risorse per questa trasformazione”.

    Migliorare la transizione energetica del Kenya

    Oltre al finanziamento iniziale, il progetto ha anche bisogno di una solida strategia di public affairs e di sensibilizzazione, in modo che ai kenioti sia chiaro chi ne beneficerà e perché.

    “Il nostro obiettivo è imparare ciò che noi e il governo dobbiamo fare per sostenere la transizione energetica del Kenya affinché si configuri come un processo equo, inclusivo e il più vantaggioso possibile per le persone coinvolte,” ha detto Ciardiello.

    Al momento, il team di Eni è al lavoro per individuare le esigenze:
    – degli agricoltori e di tutto il settore agroalimentare, progettando una scuola specifica per gli imprenditori;
    – del pubblico in generale, in modo che Eni possa favorire un cambiamento culturale soprattutto nella gestione dei rifiuti;
    – del governo e delle istituzioni locali in Kenya che aiutano a definire un nuovo sistema di regolamentazione.

    “Un progetto come questo avrà implicazioni in termini di nuove opportunità e comporterà un cambiamento culturale. Stiamo avviando un nuovo settore in Kenya e questo richiede una forte strategia di public affairs”, ha detto Ciardiello.

    Il futuro è uno sviluppo sostenibile

    Per Eni, questo progetto rappresenta più di un’opportunità per aiutare il Kenya a raggiungere i suoi target climatici. Se questo modello dovesse avere successo, Eni potrebbe applicarlo anche in altri Paesi. Il progetto a più livelli in Kenya rappresenta anche il futuro di Eni nella transizione verso l’energia verde.

    “Con questo progetto, è possibile vedere le prove concrete di un nuovo percorso di trasformazione energetica e di tutto ciò che essa comporta,” ha spiegato Maurizio Maugeri, Executive Project Director Kenya Programme.

    “Finora, le due attività —verde e tradizionale— sono state gestite in parallelo. Credo che il futuro di Eni sarà l’integrazione di questi due flussi per garantire un nuovo modello capace di assicurare prodotti decarbonizzati e servizi a valore aggiunto, facendo leva sulla responsabilità sociale globale“.

    (lo)

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