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    Il futuro è delle città, ma solo di quelle sostenibili

    Design, tecnologia, riciclo intensivo e materiali sostenibili, sono queste le chiavi per l’economia circolare urbana del futuro

    di Michele Gazzetti

    Energia, materiali e infrastrutture sono i pilastri su cui si incentra la visione di Joni Baboci, Direttore Generale per la Pianificazione e lo Sviluppo urbano di Tirana. 

    Nel progetto presentato a Triennale Milano, realizzato in collaborazione con Eni e intitolato ‘Urban Circular Economy, Global value chains to local value loops’, traccia le linee guida dell’economia circolare urbana del futuro. 

    Nonostante alcuni paradigmi siano stati messi in discussione dalla pandemia, le città avranno sempre un ruolo cruciale perché “comportano un uso più limitato delle infrastrutture, erogano servizi in maniera più efficiente e contrastano la povertà agendo da ascensore economico”. 

    “Negli ultimi due secoli l’economia moderna si è basata su una modalità di crescita sostenuta senza limiti grazie alla costante innovazione –analizza Baboci–. La caratteristica peculiare di questo tipo particolare di crescita si sta accentuando: ad ogni ciclo, il sistema accelera. Attualmente il mondo genera più di due miliardi di tonnellate all’anno di rifiuti solidi urbani. Le popolazioni animali sono crollate, in media, del 60% dagli anni ’70. Abbiamo spinto al limite i sistemi di supporto vitale del pianeta. Ci stiamo avvicinando a un interessante cambiamento di fase. Come sarà questo cambiamento dipende da noi”.

    I capisaldi dell’economia circolare urbana

    Sono quattro le direttrici da percorrere per determinare un nuovo spirito del tempo dell’economia circolare urbana:
    – un design migliore può facilmente elevare l’efficienza dell’utilizzo di un materiale e ridurre i costi di produzione; 
    – attraverso la tecnologia si possono registrare meno sprechi nella produzione, migliorando così l’efficienza dei materiali utilizzati; 
    – il riciclo intensivo è un primo passo necessario ma insufficiente verso un’economia circolare; 
    – premiare l’utilizzo di materiali sostenibili per accelerare lo sviluppo dell’innovazione. 

    Baboci delinea così gli scenari futuri: “I designer sono i primi a poter cambiare il modo in cui vediamo le cose. I nuovi modelli di business si possono creare attraverso collaborazioni tra architetti, progettisti e tutta la catena di fornitura dell’ingegneria. Dobbiamo migliorare la progettazione del prodotto, dobbiamo ridurre gli sprechi nella produzione, dobbiamo promuovere riutilizzo e riciclo a livello intensivo premiando la sostituzione di materiali nocivi. Grazie a una migliore progettazione possiamo ridurre gli sprechi del 30%”. 

    La tecnologia può giocare un ruolo decisivo nel rendere compostabili e biodegradabili materiali già esistenti. L’innovazione è la stella polare da inseguire ma è importante testarla per un lasso di tempo sufficiente a minimizzare i potenziali rischi. 

    I numeri parlano chiaro: “A livello di produzione, attualmente solo il 25% dell’acciaio vergine e il 50% dell’alluminio vergine arrivano di fatto nelle mani dei consumatori e poi vengono riciclati di nuovo. Le nostre attuali pratiche di riciclo sono di natura più che altro simbolica: dobbiamo attuare un riciclo più intensivo e un modus operandi più improntato al riutilizzo. Infine, si devono incentivare la progettazione moderna e l’uso dei materiali leggeri”.

    Parola d’ordine: locale

    Baboci non ha dubbi, l’economia circolare è l’unico approccio vantaggioso e concreto per continuare a far crescere il benessere e, allo stesso tempo, la sostenibilità. La parola d’ordine per ottenere il cambiamento è locale

    L’implementazione della circolarità attraverso una rete di realtà locali tiene sotto controllo i rischi, mentre aumenta la capacità di recupero dell’economia globale. “Bisogna considerare l’economia circolare come un insieme localizzato di sotto-routine dove i rifiuti locali, gli output, possono essere utilizzati come input sempre in ambito locale –spiega l’architetto–. 

    L’approccio localista riduce notevolmente lo spreco di energia nel settore dei trasporti. Allo stesso tempo rende l’economia più resiliente facendo sì che sia più eterogenea e distribuita. Inoltre, permette alle comunità di avere le mani in pasta, di essere coinvolte direttamente nella determinazione del loro futuro”.

    (lo)

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