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    Thwaites, come salvare il ghiacciaio dell’Apocalisse

    Lo scioglimento del celebre ghiacciaio antartico potrebbe avere conseguenze disastrose sul clima globale. Ora si è trovato un modo per fermare il disastro ecologico

    di James Temple

    A dicembre, sono state registrate enormi crepe, in via di ulteriore estensione, nella parte orientale della piattaforma di Thwaites, una massa di ghiaccio delle dimensioni della Florida che si estende per 120 km attraverso l’Antartide occidentale. I dati sembrano confermare l’ipotesi che la lingua galleggiante del ghiacciaio, che funge da rinforzo per sostenere Thwaites, potrebbe staccarsi nell’oceano in appena cinque anni. Questo distacco potrebbe innescare una reazione a catena poiché nuove scogliere di ghiaccio si ritroverebbero esposte e finirebbero per fratturarsi e crollare.

    Secondo gli scienziati dell’International Thwaites Glacier Collaboration, una perdita completa del cosiddetto ghiacciaio dell’Apocalisse potrebbe aumentare il livello degli oceani di 60 cm, o fino a 3 metri se il crollo trascinasse con sé i ghiacciai circostanti. In ogni caso, inonderebbe le città costiere di tutto il mondo, minacciando decine di milioni di persone. Tutto ciò solleva una domanda urgente: c’è qualcosa che si può fare per fermarlo?

    Anche se il mondo interrompesse immediatamente le emissioni di gas serra che guidano il cambiamento climatico e riscaldano le acque sotto la piattaforma di ghiaccio, non sarebbe sufficiente per ristabilire il contrafforte critico di Thwaites, afferma John Moore, glaciologo e professore all’Arctic Center dell’Università della Lapponia in Finlandia.

    A suo parere, l’unico modo per prevenire il collasso è stabilizzare fisicamente le calotte glaciali. Questo tipo di intervento richiederà l’adozione di alcune strategie che vengono descritte in più modi: conservazioneattiva, adattamento radicale o geoingegneria dei ghiacciai.

    Alcuni degli schemi prevedono la costruzione di tutori artificiali attraverso megaprogetti polari o l’installazione di altre strutture che aiuterebbero la natura a ripristinare quelle esistenti. L’idea di base è di ridurre significativamente sia pericoli di inondazione che ogni città costiera e nazione insulare bassa dovrà affrontare, sia i costi dei progetti di adattamento necessari per minimizzarli. Se funziona, affermano i ricercatori, si potranno potenzialmente preservare le calotte glaciali cruciali per qualche altro secolo, guadagnando tempo per ridurre le emissioni e stabilizzare il clima.

    Il ghiacciaio Thwaites. Kari Scambos / NSIDC

    Cambiare direzione alle acque calde

    In articoli e ricerche pubblicati nel 2018, Moore, Michael Wolovic di Princeton e altri hanno illustrato la possibilità di preservare i ghiacciai critici, incluso Thwaites, attraverso enormi progetti di movimento terra. Ciò comporterebbe la spedizione o il dragaggio di grandi quantità di materiale per costruire banchine o isole artificiali intorno o sotto i ghiacciai chiave. Le strutture sosterrebbero i ghiacciai e le piattaforme di ghiaccio, bloccherebbero gli strati d’acqua calda e densa sul fondo dell’oceano che li stanno sciogliendo dal basso, o entrambi.

    Più recentemente, insieme ad alcuni ricercatori dell’Università della British Columbia, hanno esplorato un concetto più tecnico: costruire una struttura di teloni ancorati al fondo marino. Si tratterebbe di una specie di lamine flessibili galleggianti, realizzate in materiale geotessile, che potrebbero trattenere e reindirizzare l’acqua calda.

    La speranza è che questa proposta sia più economica delle precedenti e che questi teloni resistano alle collisioni degli iceberg e si possano rimuovere nel caso di effetti collaterali negativi. I ricercatori hanno modellato l’uso di queste strutture intorno a tre ghiacciai in Groenlandia, nonché al ghiacciaio Thwaites e quelli vicini di Pine Island. Se i teloni reindirizzassero abbastanza acqua calda, la piattaforma di ghiaccio orientale di Thwaites potrebbe riaddensarsi e riattaccarsi saldamente alle formazioni sottomarine che l’hanno sostenuta per millenni, ritornando alla situazione dell’inizio del XX secolo, dice Moore.

    I costi del posizionamento di queste strutture in canali chiave in cui scorre la maggior parte dell’acqua calda e della creazione di una cortina più ampia più lontano nella baia si valutano nell’ordine di 50 miliardi di dollari. È sicuramente oneroso, ma non è nemmeno la metà di quanto costerebbe una diga intorno a New York City.

    I ricercatori hanno avanzato anche altre proposte, tra cui il posizionamento di materiale riflettente o isolante su porzioni di ghiacciai, la  costruzione di recinzioni per trattenere la neve che altrimenti andrebbe a finire nell’oceano e il prosciugamento del letto sotto i ghiacciai, eliminando l’acqua che funge da lubrificante e rallentando così il movimento dei ghiacciai.

    La piattaforma di ghiaccio orientale del ghiacciaio Thwaites nel 2001. Lauren Dauphin / NASA Earth Observatory

    Funzionerà?

    Alcuni scienziati hanno criticato queste idee. Sette ricercatori hanno pubblicato una risposta su “Nature” alle proposte di Moore del 2018, sostenendo che si tratterebbe nel migliore dei casi di soluzioni parziali, che potrebbero in alcuni casi accelerare inavvertitamente la perdita di ghiaccio e potrebbero distrarre l’attenzione e le risorse dalla radice del problema: le emissioni di gas serra.

    L’autore principale, Twila Moon, una scienziata del National Snow and Ice Data Center dell’Università del Colorado, a Boulder, afferma che sarebbe come mettere due toppe a un tubo da giardino crivellato di fori. Inoltre, non è affatto detto che funzioneranno. A suo parere, le proposte non tengono nella dovuta considerazione le dinamiche del ghiaccio e altri fattori rilevanti, e le sfide logistiche sembrano estreme data la difficoltà di portare una singola nave da ricerca in Antartide. “Affrontare la fonte del problema significa chiudere quel tubo, cioè capire come ridurre le emissioni”, spiega.

    Ci sarebbero anche ostacoli di governance e legali significativi, come hanno notato Charles Corbett e Edward Parson, studiosi di diritto della School of Law dell’Università della California, a Los Angeles, in un articolo in prossima uscita su “Ecology Law Quarterly”. In particolare, l’Antartide è governata da un consorzio di nazioni nell’ambito del Sistema del Trattato Antartico e uno qualsiasi dei 29 membri votanti potrebbe porre il veto a tali proposte. Inoltre, il Protocollo di Madrid limita rigorosamente alcune attività in e intorno all’Antartide, compresi i progetti che avrebbero un forte impatto fisico o ambientale.

    Corbett e Parson sottolineano che gli ostacoli non sono insormontabili e che il problema potrebbe favorire i cambiamenti necessari al governo di queste regioni in mezzo alla crescente minaccia del cambiamento climatico. Ma ritengono allo stesso tempo che ci si debba porre la domanda se un paese o una coalizione siano in grado di portare avanti il progetto con sufficiente determinazione.

    La piattaforma di ghiaccio orientale del ghiacciaio Thwaites nel 2019. Lauren Dauphin / NASA Earth Observatory

    Da qualche parte si deve iniziare

    In un lavoro precedente, Moore e altri hanno notato che probabilmente alcuni grandi ghiacciai provocheranno quasi tutto l’innalzamento del livello del mare nei prossimi secoli, quindi alcuni interventi di successo potrebbero avere un impatto significativo. Ma i ricercatori sono consapevoli che è necessario fare molto più lavoro per valutare una serie di fattori: come sarà influenzato il flusso di acqua calda, la resistenza dei teloni nel tempo, gli effetti collaterali ambientali e la risposta dell’opinione pubblica. 

    Inoltre, l’installazione dei teloni in condizioni gelide e turbolente vicino all’Antartide richiederebbe probabilmente rompighiaccio ad alta potenza e il tipo di equipaggiamento sottomarino utilizzato per le piattaforme petrolifere e del gas in acque profonde.

    Come passo successivo, Moore spera di avviare un confronto su queste proposte con le comunità presenti in Groenlandia. La sua idea di partenza sarebbe quella di iniziare con test su piccola scala in aree in cui sarà relativamente facile lavorare, come la Groenlandia o l’Alaska. La speranza è che le lezioni e l’esperienza acquisita consentano di passare a progetti più complessi.

    Thwaites rappresenta il gradino più alto di questa “scala di difficoltà”. I ricercatori hanno operato partendo dal presupposto che potrebbero essere necessari tre decenni per acquisire il sostegno pubblico, raccogliere i finanziamenti necessari, risolvere le sfide della governance e sviluppare le competenze necessarie per intraprendere un progetto del genere lì. Ma questa sequenza temporale, si scontra con la realtà: l’ultima ricerca suggerisce che il fondamentale contrafforte orientale potrebbe non essere più lì entro la fine di questo decennio.

    (rp)

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