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    Il sentimento ambiguo della scienza

    di Gian Piero Jacobelli

    Abbiamo sempre sottolineato, nel nostro impegno di mediazione giornalistica tra l’edizione americana e l’edizione italiana di Technology Review, come l’importanza di una rivista che è espressione del maggiore centro di ricerca mondiale risieda tanto nella possibilità di conoscere, quanto in quella di capire. Conoscere ciò che avviene nel sempre più grande mondo della scienza e della tecnologia, ma anche capire dove, come, perché avviene e soprattutto quali sono le motivazioni e le aspettative che ispirano il lavoro quotidiano, nei laboratori, nelle università, nelle imprese. Al di là degli interessi specifici, economici, sociali, culturali, che creano le condizioni di possibilità del lavoro scientifico, c’è anche una dimensione emozionale, una sorta di sentimento della scienza che di tempo in tempo emerge con particolare evidenza e spesso con drammaticità.

    Da qualche tempo, sfogliando le pagine della nostra stessa rivista, abbiamo l’impressione che questo sentimento, una volta sostanzialmente positivo, stia progressivamente cambiando di segno, manifestando una tensione, per non dire una preoccupazione, che segnala il manifestarsi di nuovi problemi impliciti nel progresso scientifico e tecnologico. Se una volta era la «macchina» a ergersi di fronte all’uomo come una presenza aliena e tendenzialmente incontrollabile, oggi è piuttosto il «sistema» che agita i sonni e i sogni di chi ha a che fare con le nuove tecnologie. Il sistema è figlio della complessità, di quel particolare senso di confusione e di incertezza che ha travolto il mondo contemporaneo da che sono crollate le consolidate classificazioni ontologiche. Da che l’altro ha fatto irruzione nel proprio, sconvolgendone le abitudini mentali. L’altro: non soltanto gli altri uomini, ma anche gli strumenti che stanno surrettiziamente passando dalla categoria degli oggetti a quella dei soggetti. Anzi, gli uomini e gli strumenti insieme, perché questo è appunto un sistema: un complesso di intenzioni e di azioni. 

    Il crollo delle Torri gemelle ha rappresentato il fattore di catalizzazione di questi riemergenti sentimenti negativi. Ci si è resi conto non che lo strumento poteva offendere, come qualsiasi arma tradizionale, dalla quale ci si può difendere, ma che l’offesa era implicita nella particolare e imprevedibile relazione che si può istituire tra lo strumento e chi lo utilizza ai propri fini. In particolare nelle reti dei trasporti e delle comunicazioni, che consentono una ubiquità ancora fuori controllo – è questo il problema della sicurezza, che torna frequentemente nelle pagine di questa rivista -, ma anche nelle altre reti, la cui vulnerabilità dipende appunto dalla precaria confluenza tra l’utensile e l’utente. è il caso degli improvvisi mancamenti energetici che hanno funestato sia gli Stati Uniti sia l’Italia e che sarebbe futile attribuire semplicemente a errore umano. In realtà è la connessione tra la complessità dell’uomo, che può distrarsi o sbagliare, e la complessità dello strumento, che può funzionare male, a provocare i nuovi problemi dei grandi sistemi. Continuare a cercare il tradizionale capro espiatorio non serve, anzi ritarda la necessaria presa di coscienza e le possibili soluzioni. Meglio, se mai, il vecchio cui prodest, che non concerne le cause, ma gli effetti.

    (gpj) 

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