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    Le vie italiane all’innovazione 2

    In questo secondo intervento prosegue, con nuovi casi di rilievo nel fondamentale settore delle “Life Sciences”, l’indagine sulla innovazione italiana, basata, da un lato, sulla internazionalizzazione, e dall’altro lato, su un ancoraggio territoriale, che garantisce le necessarie sinergie logistiche, imprenditoriali e accademiche. Si tratta di un discorso ricco di sfaccettature, che proseguirà coinvolgendo anche altre soluzioni organizzative e imprenditoriali.

    di Alessandro Ovi* e Gianni Lorenzoni*

    Le filiere verticali guidate da un “capofila” erano state una pratica diffusa nel settore del packaging, che si è affinata nel corso degli ultimi decenni. Tuttavia, per quanto sia ancora utile in chiave di efficientismo, poiché è veloce e si presta a innovazioni incrementali, non è utilizzabile per innovazioni radicali o robuste, specie quelle che richiedono incroci e convergenze di tecnologie diverse.

    Da questo punto di vista, ha forse esaurito la propria carica innovativa, data la progressiva acquisizione dei componenti della supply chain. Lo dimostrano le acquisizioni omogenee effettuate negli anni, prive di sostanziale varianza, con economie di scala che hanno uno scarso impatto sullo scope.

    Si potrebbe obiettare che c’è stato un massiccio inserimento della digitalizzazione nella catena del valore o che si è sperimentata la manifattura 3D, ma siamo sempre sull’allineamento verticale attraverso il complementary assets, cioè, secondo una definizione corrente, “il valore economico totale aggiunto combinando alcuni fattori complementari in un sistema produttivo, eccedente il valore che sarebbe generato applicando isolatamente questi fattori di produzione”.

    Al contrario, le “Life Sciences” rappresentano un cambio di paradigma rispetto alle pure complesse tecnologie del packaging. Fra gli altri possibili, le nanobiotecnologie ne costituiscono un esempio significativo. Più traiettorie, più filiere separate che si incrociano e richiedono un allineamento simbiotico, facile da dichiarare, ma difficile da realizzare.

    Gli scienziati sono al lavoro da tempo con risultati non trascurabili, e però il trasferimento, o meglio il trasferimento reciproco, il meticciamento, richiede tempi lunghi e capacità di adattamento, che si pongono ancora a distanza dalle dichiarazioni di fattibilità. OpenZone, la prima concreta realizzazione di Zambon su questa linea, si prospetta come un buon esempio, perché lascia trasparire e fa emergere pratiche organizzative micro-fondate, quelle che stanno fra il dire e il fare, fra le proposizioni e i risultati, e che certificano i tentativi delle medie imprese in cerca di opzioni per il futuro: un “futuro Open”, appunto.
    Queste nuove pratiche organizzative rappresentano un superamento delle filiere verticali verso altre geometrie generalmente definite come orizzontali.

    Il Caso Zambon

    Zambon è una delle aziende farmaceutiche italiane più orientate alla ricerca, sia per fini economici sia per fini etici. L’idea di promuovere una innovazione aperta nasce dalla convinzione che la collaborazione rappresenti la strada per anticipare il futuro e che il ruolo dell’imprenditore consista anche nel creare le condizioni per lo sviluppo, per stare al passo con i tempi, in particolare con i tempi di oggi, nei quali il progresso scientifico, tecnologico e digitale viaggia a ritmi velocissimi.

    In linea con queste prospettive, anni fa, al momento di ristrutturare gli ampi spazi della propria ricerca tradizionale, Zambon decise di adottare un nuovo approccio, nel quale la ricerca non fosse più questione di metri quadri di laboratorio, ma il risultato di sinergie, network, competenze. Nacque così OpenZone, il Campus dedicato alla Salute, alle porte di Milano.

    Nacque anche un nuovo concetto di “Ufficio 4.0”, che comporta la progettazione dello spazio non più come un contenitore materiale di azioni, ma come luogo destinato a migliorare il benessere di chi lo vive. In particolare, sono previste postazioni di lavoro su grandi tavoli, che mettono in relazione interno ed esterno, oltre a elementi di verde collocati negli uffici per soddisfare l’innata attrazione degli esseri umani per il contatto con la natura.

    All’interno del Campus ha preso vita nel 2019 anche Z-Life, il nuovo Quartier generale di Zambon, che ha aperto la strada alla componente etica nei “passaggi” prossimi e venturi della innovazione italiana, con riferimento a una responsabile creazione di luoghi in grado di esprimere una forza simbolica unica. Sono luoghi che hanno un’anima e soprattutto le caratteristiche necessarie al benessere delle persone che vi operano e che debbono sentirsi unite da valori e interessi simili; persone che non si sentano in difficoltà a esplorare nuove strade e che siano determinate a portare a casa il risultato del loro impegno.

    OpenZone nasce dunque con l’obiettivo di creare ponti, di favorire conoscenze e lo sviluppo di collaborazioni nel settore della salute. «Solo una comunità aperta e forte al proprio interno può dare slancio al progresso scientifico», afferma Elena Zambon, Presidente di Zambon e ideatrice di OpenZone. «Questo è il nostro modo di rispondere alla grande responsabilità di occuparsi della salute delle persone. L’obiettivo finale è quello di offrire nuove soluzioni al paziente. Soluzioni che provengano da Zambon, dalle imprese del Campus, dalle startup che sosteniamo o semplicemente dall’ecosistema che contribuiamo a “nutrire”».

    A distanza di anni, si può prendere atto che il Campus ha dato origine a storie di successo importanti e di grande soddisfazione: ricercatori e imprenditori hanno saputo creare le condizioni per nuove opportunità di trasformare i risultati della ricerca in impresa e quindi in innovazione. Citiamo a titolo di esempio il caso della “safinamide” per la cura del Parkinson. Si tratta di una molecola nata dalla ricerca di Newron, azienda biotecnologica quotata allo Swiss Stock Exchange e con sede in OpenZone. La collaborazione sviluppata nel Campus ha permesso a Zambon di entrare in una nuova area terapeutica, quella del sistema nervoso centrale, quindi esterno al sistema respiratorio, settore prioritario fino ad allora, e in nuovi mercati.

    Elena Zambon crede fermamente che il valore di un luogo come OpenZone sia ancora più evidente oggi, per lavorare proficuamente insieme, contribuendo al tempo stesso a una missione più grande, che riconosce la salute come un traguardo di civiltà. Ciò non esclude che vengano esplorati anche nuovi modi di interagire, sempre preservando la continuità e l’intensità delle relazioni che favoriscono la creatività, la conoscenza tra le persone, la sincera condivisione dell’obiettivo. È questo il caso degli Zoner.

    Si chiamano “Zoner” i ricercatori individuali o le aziende anche in fase nascente che operano in OpenZone, condividendone i principi di base, in particolare la disponibilità a dialogare in modo continuativo affinché intuizioni, idee e soluzioni si trasformino in opportunità concrete per i pazienti. Fino dalla sua concezione, OpenZone vuole favorire iniziative imprenditoriali offrendo anche un rapido accesso a competenze e capitali. OpenZone con i suoi Zoner è l’espressione concreta di un luogo di scambio di conoscenze, concepito per creare ponti tra competenze, linguaggi e mondi diversi.

    A tutt’oggi operano 34 Zoner sull’attuale complesso infrastrutturale di OpenZone: imprese biotech, farmaceutiche e di terapie geniche avanzate, fortemente orientate alla ricerca e all’innovazione, con competenze qualificate e riconosciute a livello internazionale.

    Tra loro citiamo: AGC Biologics (attiva nelle terapie geniche e cellulari); Axxam (servizi integrati di ricerca nelle life sciences); Enthera (malattie autoimmuni); Erydel (specializzata nello sviluppo di farmaci basati sulla tecnologia dei globuli rossi); Newron (parkinson e terapie innovative per malattie rare); KlisBio (medicina rigenerativa); Nicox (oftalmologia per salute oculare); Diadem (alzheimer).

    A sottolineare come la fluidità della comunicazione resti uno dei punti forti di OpenZone, si può rilevare che già oggi fa parte degli Zoner anche CloudTel, che offre servizi innovativi di qualità per la connettività.

    In buona sostanza, Open Zone rappresenta un esempio completo di integrazione profonda tra motivazione etiche al suo interno e con l’azienda che lo ha ideato e realizzato, nel contesto di una ricerca orientata verso nuovi orizzonti scientifici o tecnologici.

    *Alessandro Ovi è Editore e Direttore di “MIT Technology Review Italia”.
    *Gianni Lorenzoni è Professore Emerito di Strategic Management presso Alma mater Studiorum – Università di Bologna.

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