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    Le vie italiane all’innovazione 1

    L’hanno chiamata “Emilian Packaging Valley” per sottolineare la duplice istanza della innovazione italiana: la internazionalizzazione, da cui il richiamo a Silicon Valley, e l’ancoraggio territoriale, che garantisce le necessarie sinergie logistiche, imprenditoriali e accademiche. In questo primo intervento, a cui seguiranno ulteriori approfondimenti aziendali e settoriali, vengono analizzati alcuni casi significativi di questi successi innovativi, attraverso contributi originali e notizie tratte dalle Newsletter cobranded di “MIT Technology Review Italia”.

    di Alessandro Ovi e Gianni Lorenzoni

    A suscitare l’interesse della nostra rivista è stata la grande risonanza anche internazionale, nell’ultimo ventennio del secolo scorso, delle aziende italiane operanti nella cosiddetta “Emilian Packaging Valley” (EPV).
    Già da un primo approccio, è emerso in modo evidente il ruolo esercitato in questa crescita straordinaria dal particolare rapporto tra alcuni produttori principali, tra i quali IMA e COESIA.
    Si tratta di una peculiare forma di partnership tra il produttore principale e i suoi fornitori in un processo unico della innovazione che, mentre in passato aveva un carattere monosettoriale e verticale, oggi si giova della convivenza con gli Open Hubs of Innovation: luoghi d’innovazione gestiti direttamente, come nel caso della Zambon, o gestiti quale cooperazione pubblico-privato, come nel caso di Brembo e Kilometro Rosso, oppure come risultato di strategie aziendali figlie di passate esperienze multisettoriali e orizzontali.

    Le radici storiche delle vie italiane all’innovazione

    La partnership allargata a diversi soggetti privati e pubblici ha l’obiettivo di integrare strettamente gli elementi che portano a un ciclo di prodotto più breve, prodotti migliori e un’accresciuta competitività. Un elemento fondamentale di questo processo è la capacità di attivare risorse sia interne sia esterne, coinvolgendo un ampio gruppo di nuove tecnologie messe a disposizione dal produttore principale, cui spetta comunque la responsabilità della progettazione e della produzione finale.

    La crescente collaborazione tra produttore principale e subfornitori favorisce un allineamento con le linee pubbliche di politica industriale, generando un buon nesso pubblico-privato come accade appunto nella “Emilian Packaging Valley”. In effetti, in Emilia si trova il sistema industriale regionale con la più alta concentrazione di aziende che producono apparati per il packaging automatico.

    Lo si può a ragione definire un esempio di ecosistema produttivo che, anche se non con gli elevati ritmi iniziali, continua a offrire nuovi esempi significativi. Non a caso, le istituzioni pubbliche regionali dell’Emilia sono state sempre di grande aiuto per il sistema industriale regionale. Come esempio significativo vale quello di ACMA, una piccola azienda, nata nel 1924 che può essere considerata una anchor firm, perché non solo ha avviato una attività nel packaging, ma è stata anche una scuola e un laboratorio dove si sono formati gran parte dei creatori di nuove imprese nate successivamente.

    Ma, come spesso avviene anche in campo imprenditoriale, questo successo affonda le sue radici nel dopoguerra e nella ricostruzione, quando cominciò a prendere forma una organizzazione a rete, non semplicemente come distretto industriale, ma come hub and spoke, dove si distingue il ruolo sempre più netto e progettuale delle imprese capofila che coordinano una rete di “fornitori di prossimità”, con significative economie di scala e di tempi.

    Successivamente questo modello organizzativo ha fatto registrare variazioni migliorative, coinvolgendo attori vicini e lontani, anche se non è stato il solo motore delle innovazioni e dei cambiamenti che hanno condotto a risultati durevoli, seppure con fatica. Dagli anni ’80, l’attenzione si è spostata sugli investimenti di processo, con le macchine a controllo numerico e in seguito con l’avvio della digitalizzazione. Sul finire del secolo scorso prende forma e si accelera il processo di concentrazione, attraverso l’acquisto di imprese in Italia e all’estero, che ha consentito un primo superamento della frammentazione, anche se si è successivamente rivelato più arduo.

    Negli anni 2000 hanno fatto la loro comparsa i promettenti impianti della manifattura 3D, per altro ancora incompiuti, e le sfide dei nuovi materiali. In altre parole, la manifattura è stata attivamente presidiata e questo processo ha influenzato anche la innovazione di prodotto. Le imprese del settore, in particolare le nuove leadership, hanno effettuato rilanci sistematici delle spinte innovative, migliorando il capitale umano e riducendone l’età media: passaggi incrementali che suggeriscono un’attenzione continua al cambiamento, il cui totale è superiore alla loro somma.

    Ci sarebbe molto altro da ricordare, ma tanto basta per collocare la famosa supply chain, la catena di approvvigionamento, nel posto che le compete. Ma le leve competitive sono più complesse e articolate. Infatti, queste nuove imprese sono i mattoni di un ecosistema che si è andato formando nel tempo, sviluppando e arricchendo di contenuti e tecnologie vaste aree di applicazioni.

    Il Caso IMA

    Abbiamo ricordato all’inizio i casi particolarmente significativi di IMA e Coesia, in quanto protagonisti di quella peculiare forma di partnership tra il produttore principale e i suoi fornitori che contribuiscono congiuntamente al processo della innovazione. Sarà opportuno soffermarci brevemente sulle loro principali caratteristiche.

    Cominciamo da IMA, che ha avuto il maggior successo nel posizionarsi nel segmento di prodotti con il più alto valore: quello farmaceutico. La localizzazione prevalentemente estera dei clienti farmaceutici ha generato una grande internazionalizzazione di IMA che ha potuto conseguire la indispensabile massa critica (Giorgio Prodi, in “Cambridge Journal of Economics”, 2016).

    Oggi, le società leader nel settore farmaceutico chiedono ai produttori di packaging non solo investimenti elevati, ma anche alcune operazioni finanziarie e partecipazioni incrociate alle quote di minoranza delle aziende produttrici. Nel caso di IMA questa nuova configurazione organizzativa con i fornitori di primo livello ha portato alla riorganizzazione dell’assetto proprietario e all’introduzione di una struttura di governo societario più integrata, nonché a una serie di accordi per i vari livelli della produzione e per i servizi post vendita come software upgrading e addestramento.

    In IMA, la transizione tecnologica verso il settore farmaceutico e la crescente dimensione produttiva hanno reso necessaria una continua riconversione organizzativa su vari fronti e articolata in tre stadi.

    In primo luogo, IMA ha acquisito un certo numero di aziende situate nel suo stesso sistema industriale regionale (CMS, Zanasi, Farmatic, Farmomac, PM System and Cestind-Centro Studi Industriali), fondendole in un’unica divisione, sviluppando con loro una fitta rete di relazioni commerciali e organizzando le loro attività come integratore di un sistema di prodotti.

    In secondo luogo, tra il 1995 e il 2005, IMA ha sviluppato una nuova fase di Mergers & Acquisitions che hanno riguardato società complementari per la espansione nel settore farmaceutico e in attività adiacenti, anche a livello internazionale (IMA-Telstar Cina, Swiftpack, US).

    In terzo luogo, dalla metà degli anni 2000, IMA ha avviato una terza fase di riconfigurazione organizzativa, che ha mutato in modo sostanziale le relazioni con il sistema di produzione locale. Nel 2007 è stata creata una nuova società IMA Libra, che ha incorporato le attività di Libra Pharmaceutical Technologies e di IMA Aseptic Processing & Filling Division. Nel 2008 il gruppo IMA ha creato una nuova struttura organizzativa con quattro principali aree di business: IMA Flavour Srl (Tea & Coffee Packaging Solutions), IMA Active Division (Solid Dose Solutions), IMA Life Srl (Aseptic Processing & Filling Solutions), IMA Safe Srl (Packaging Solutions).

    La transizione tecnologica nel settore degli imballaggi ha avuto effetti molto rilevanti sul fronte dell’innovazione, incidendo sugli assetti dei diversi subappaltatori e fornitori del sistema produttivo regionale. Dalla metà degli anni ’90, IMA ha quindi implementato una serie di strategie rivolte a partner in situazione critica del sistema produttivo regionale.

    Complessivamente IMA ha sostenuto diversi processi di aggiornamento tecnologico dei propri subappaltatori e fornitori, nonché di de-risking delle loro attività produttive con contratti a regime garantito di medio-lungo termine. Ciò ha consentito ad alcune aziende del territorio di acquisire una maggiore stabilità produttiva e di adeguarsi al ciclo strutturale complessivo dell’industria dell’imballaggio.

    Sono state inoltre agevolate riconfigurazioni organizzative strategiche dei diversi attori del sistema produttivo locale. In primo luogo, i fornitori di secondo livello hanno iniziato ad aggregarsi in nuovi gruppi di cui, a volte, i fornitori di primo livello hanno acquisito quote di minoranza.

    Parallelamente, IMA ha supportato i fornitori di primo livello nei loro processi di crescita e ristrutturazione conferendo investimenti di capitale e acquisendo quote di minoranza (normalmente mai oltre il 35%). Queste operazioni finanziarie e partecipazioni incrociate hanno consentito e cementato la nuova configurazione organizzativa dell’interfaccia dei fornitori di primo livello. La riorganizzazione dell’assetto proprietario ha portato anche all’introduzione di una struttura di governo societario più integrata, nonché a una serie di accordi per condividere i rischi e ridurre i costi operativi, organizzando consorzi di acquisto.

    In Emilia, è nato così il sistema industriale regionale con la più alta concentrazione di aziende che producono apparati per il packaging automatico.

    Il Caso Coesia

    Coesia è un Gruppo di aziende specializzato in soluzioni industriali e di packaging ad alta innovazione con sede a Bologna. Le aziende di Coesia sono leader nei segmenti delle macchine automatiche, dei materiali di imballaggio, delle soluzioni di processo industriale e degli ingranaggi di precisione.

    Alla fine del 2018, Coesia aveva già un fatturato pro forma di 2,3 miliardi di euro con un EBITDA di 450 milioni di euro, che rappresentava tre importanti acquisizioni firmate nel 2018. Il gruppo era passato da 12 società nel 2010 a 21. Il fatturato odierno è dell’ordine di 4 miliardi di Euro.

    Il cospicuo aumento delle dimensioni – sia in termini di fatturato sia di numero di società – ha portato nuove opportunità, ma anche nuovi problemi. Il modello di gestione operativa denominato “abilitatore strategico” ha garantito alle singole società una significativa autonomia e responsabilità di conto economico. Funzioni come HR, R&D, Marketing e Finance sono state create a livello di gruppo per supportare le singole aziende. È stata aggiunta una struttura regionale per consentire alle aziende di accedere ai mercati globali.

    A seguito di queste sfide organizzative e delle soluzioni adottate, sono progressivamente emerse una nuova identità aziendale e una specifica cultura Coesia. Si tratta di un modello “a due facce”: i CEO hanno autonomia, ma con il supporto del gruppo. In questo modello Coesia svolge solo il ruolo di holding “snella”, per cui la supervisione del gruppo è limitata. Per altro, una volta adottato il nuovo modello gestionale e averne verificato la funzionalità, si è cercato di renderlo disponibile a eventuali modifiche per garantirne la efficienza anche in vista di ulteriori crescite dimensionali del gruppo. che entro il 2015 ha superato l’obiettivo di un fatturato di 1,5 miliardi di euro, preservando un solido bilancio nonostante investimenti significativi, anche grazie alla positiva gestione di altre metriche chiave come l’EBIT e la gestione del flusso di cassa.

    Come IMA, anche Coesia ha costruito il suo processo di innovazione mettendo a frutto una aperta e proficua collaborazione con la supply chain in una filiera verticale, per specifiche nicchie di nuove tecnologie, realizzando una sistematica diversificazione oltre i settori tradizionali.

    Il documento proseguirà con i Casi di Zambon e di OpenZone, di Brembo e del Distretto Kilometro Rosso, di Dallara Automobili, per concludersi con una riflessione sulla innovazione nella grande impresa.

    *Alessandro Ovi è Editore e Direttore di “MIT Technology Review Italia”.
    *Gianni Lorenzoni è Professore Emerito di Strategic Management presso Alma mater Studiorum – Università di Bologna.

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