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    La ricerca dei nomi propri

    Questa volta non c’è neppure un italiano, vero o presunto. Nei 35 progetti di giovani scienziati e tecnologi che “Technology Review” ha selezionato anche per le loro possibili applicazioni e che aprono questo fascicolo della rivista, solo un nome suona familiare, quello di Andrea Armani, finché non ci si rende conto che, nei paesi anglosassoni, si tratta di un nome femminile.  

    di Gian Piero Jacobelli 

    La considerazione può sembrare futile, dal momento che nel sapere scientifico e tecnologico le origini, e quindi le tradizioni culturali, contano sempre di meno, mentre contano sempre di più le vocazioni e le capacità personali. In effetti, scorrendo i campi di ricerca entro cui operano i giovani scienziati e tecnologi, non c’è nulla che non risulti direttamente condivisibile dagli utenti di tutto il mondo. All’interno di questi campi di ricerca, i nomi che conservano qualche risonanza di origine, riguardano sia il nord sia il sud, sia l’occidente sia l’oriente, come confermano le fisionomie che a questi nomi corrispondono: un convincente, entusiasmante esempio di globalizzazione, solo in parte inficiato dal fatto che questi giovani provengono da tutte le parti del mondo, ma finiscono per confluire tutti nel grande tempio della scienza e della tecnologia ancora oggi rappresentato, nonostante la crisi sociale ed economica, dagli Stati Uniti d’America. 

    Per altro, dietro molti di questi nomi e dietro le stesse motivazioni delle loro ricerche, si cominciano a intravedere motivazioni per così dire territoriali, connesse alle condizioni e alle esigenze dei paesi e delle popolazioni da cui provengono, e questa constatazione consente di immaginare che a tante partenze qualificate possano corrispondere tanti, se non altrettanti, ritorni, come sta avvenendo per l’India, per la Cina, e secondo alcuni recenti indicatori, anche per l’America latina.

    Tuttavia, per tornare alla considerazione iniziale, questi flussi di intelligenze, di capacità, di esperienze sembrano riguardare sempre meno il nostro paese. Si tratta, evidentemente, di una considerazione che non esprime una valutazione statistica, anche perché in altre analoghe occasioni su “Technology Review” non sono mancare presenze che, sia pure solo a titolo nominalistico, potevano venire ricondotte all’Italia. Esprime piuttosto il senso di perplessità e di malessere del sistema scientifico e tecnologico italiano, di fronte non tanto alla fuga di cervelli, spesso purtroppo senza ritorni possibili, quanto al fatto che nei nostri centri di eccellenza stentano oggi a maturare quei cervelli per i quali, se non una fuga, si potrebbe auspicare quanto meno una esperienza all’estero. 

    Insomma, se prima dovevamo preoccuparci che, nell’ambito della Ricerca e Sviluppo, fosse il versante dello Sviluppo a porre i maggiori ostacoli al ritorno dei nostri giovani scienziati e tecnologi, oggi cominciamo seriamente a preoccuparci che sia il versante della Ricerca a rendere sempre più difficile la maturazione delle competenze necessarie a questi giovani per proiettarsi sui contesti mondiali della scienza e della tecnologia. 

    Complesse e molteplici appaiono le cause di questo paradossale mutamento di rotta. Dovremmo chiamare in causa, in primo luogo, il degrado incontenibile del sistema formativo italiano, sia nei suoi segmenti dell’obbligo sia soprattutto in quelli universitari, di cui la stessa divisione in “segmenti” denuncia l’asservimento a interessi che non riguardano il sistema stesso né i suoi utenti e operatori. Ma dovremmo chiamare in causa anche la strisciante e preoccupante sensazione di provincialismo da cui mostra di essere sempre più affetta l’identità culturale del nostro paese, nonostante il suo retorico e improduttivo narcisismo. 

    Probabilmente, nelle prossime classifiche di “Technology Review” qualche nome di origine italiana tornerà ad affacciarsi, ma quei nomi eventuali non risolveranno il problema di chi non riesce più a fare cultura e si trova costretto a consumare passivamente la cultura degli altri.

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