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    Quanto più numerose sono le candele, tanto più intensa è la luce

    Un anno fa ci si interrogava sul dopo. Dopo la pandemia, ovviamente, cercando di prefigurarsi cosa sarebbe residuato dei nuovi comportamenti che la profilattica esigenza di distanziamento aveva sistematicamente imposto: il lavoro da casa, le riunioni mediante piattaforme digitali. Ma anche le tecniche del corpo, secondo cui non ci si dava più la mano, segno di pace, ma ci si colpiva con il pugno che, se non segno di guerra, aveva certamente un significato meno conciliante.

    di Gian Piero Jacobelli

    Insomma, si pensava, come dopo il passaggio di una tempesta, un’alluvione o un terremoto, che fosse possibile ricominciare a mettere ordine, rimuovendo le macerie e maturando buoni propositi, nella convinzione che tutto potesse tornare come prima. 

    In effetti, tra il 2020 e il 2021, sembrava che il peggio fosse passato e che si potesse tornare a vivere sulla falsariga delle abitudini, delle convenzioni, delle modalità di un prima in cui, nonostante le innumerevoli criticità, si poteva intravedere un auspicabile approdo, un ritorno alla propria terra.

    Le cose non sono andate come si auspicava. A un anno di distanza, tra il 2021 e il 2022, ci si ritrova all’ascolto dei bollettini quotidiani dei contagi, malgrado la crescente copertura vaccinale, che certamente protegge, ma evidentemente non in maniera tale da eradicare il contagio.

    Tuttavia, anche in presenza di queste persistenti preoccupazioni, per la salute individuale, ma anche per le conseguenze della pandemia sugli assetti sociali ed economici, non vogliamo rinunciare ai rituali auguri di fine e inizio d’anno. 

    Ci siamo dunque interrogati su quale augurio potesse oggi non suonare come una inane e persino irresponsabile fuga in avanti, ma – sia pure auspicando un sostanziale miglioramento della situazione, come ogni augurio che si rispetti – non ignorasse o sottovalutasse vanamente le difficili condizioni in cui ci troviamo oggi a vivere.

    Come talvolta avviene quando, riordinando di anno in anno la propria biblioteca, ne emerge un libro dimenticato che sembra parlarci in maniera più significativa appunto perché dimenticato, lo sguardo ci è caduto su un testo del grande filosofo e pedagogista del Seicento, Jan Amos Komensky (1592-1670), meglio conosciuto come Comenius. Al quale tra l’altro s’intitola un importante programma europeo di scambi culturali tra docenti e studenti, volto alla comprensione del valore delle diversità culturali e linguistiche.

    Comenius, in un secolo rivoluzionario sotto molti aspetti, da quello politico e sociale a quello della conoscenza, diventò celebre in tutta Europa per il suo geniale impegno a favore della diffusione generalizzata della istruzione tra tutte le classi e a tutti i livelli sociali. A rendere possibile questo straordinario progetto avrebbero dovuto contribuire gli innovativi principi della nuova scienza, che Comenius definiva “pansofia”.

    Sfogliando quell’aulico testo ci siamo resi conto di come la pansofia di Comenius adombrasse quella globalizzazione della cultura umanistica e scientifica che potrebbe trovare riscontri positivi anche nelle tante preoccupazioni connesse alla odierna pandemia, traendone un fattore di consapevolezza e di impegno comune. 

    Se è vero che non tutto il male viene per nuocere, proprio la pandemia, infatti, ha finalmente convocato le risorse conoscitive e sperimentali del mondo intero, anche su fronti avversi, allo scopo di mettere a fuoco e rendere operativi comportamenti virtuosi e nuovi presidi terapeutici.

    Leggiamo dunque insieme, a titolo augurale, le brevi e incisive considerazioni incluse nella proposta di riforma della scuola, pubblicata da Comenius nel 1642. Considerazioni lontane nel tempo, ma a nostro avviso molto vicine allo spirito di questo faticoso e complesso passaggio d’anno. Considerazioni in cui si afferma senza mezzi termini la consapevolezza ineludibile di appartenere a un sistema globale, con tutte le convergenze, le responsabilità, ma anche le opportunità che ciò comporta.

    Come chiodo scaccia chiodo, così una scoperta ne causa un’altra, soprattutto in quest’epoca tanto ricca d’ingegni. E perché non dovremmo sperare di giungere all’invenzione delle invenzioni, che permetta di raccogliere in unità tutte le scoperte e le ricerche di tanti ingegni, non solo per quanto riguarda il loro campo specifico, ma anche la tecnica della loro ricerca, in modo che questa possa essere trasmessa a tutta l’umanità? Sarebbe certo una cosa meravigliosa.
    Infatti, come ciascuno si è finora valso del suo ingegno, delle sue regole di ricerca, della sua capacità di giudizio, che cosa non si potrebbe ottenere se tutti gli ingegni, le regole, le capacità di giudizio fossero unificate? Quanto più numerose sono le candele, tanto più intensa è la luce. Se solo si potesse trovare il modo di unire tutte queste luci – e cioè se tutte le diverse e numerosissime tecniche, invenzioni, risultati raggiunti potessero essere condotti a un’unica definitiva, immutabile, eterna tecnica di ricerca, di conoscenza, d’indagine! Se questo sarà possibile, sarà facile raggiungere ciò che noi desideriamo.

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