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    Tecnologia e retorica

    All’Expo di Dubai il Padiglione Italia presenta un nuovo modo di promuovere le risorse, le capacità e le opportunità italiane, basato non tanto sulle singole realizzazioni tecnologiche, ma su un intero ambiente intrinsecamente sostenibile e suggestivo.

    di Gian Piero Jacobelli

    Forse la tecnologia non è più di moda. Non che abbia perso d’importanza, ci mancherebbe, ma non è più di moda nel senso che, in una ottica promozionale e persino nella pubblicità, non è più la tecnologia a giocare la parte del leone, a fungere da richiamo, a convincere all’acquisto, a – diciamolo pure – épater les bourgeois.

    Oscar Wilde, il quale di scandali se ne intendeva, osservava che «la bellezza è tutto ciò che non piace ai borghesi»: perché i borghesi, essendo usciti vincitori dalla rivoluzione francese e premendo per conquistare oltre al potere politico anche quello economico, stavano molto più attenti all’utile che al bello. Per così dire, andavano al sodo. Ma le cose cambiano in fretta e dalla rivoluzione francese sono cambiate molte volte, privilegiando talvolta le cose e talvolta le parole.

    Queste considerazioni introduttive si riferiscono in particolare al grande evento spettacolare che si è aperto all’inizio del mese di ottobre in Dubai: la Esposizione universale 2020/2021 – la pandemia ne ha provocato lo slittamento di un anno – a cui L’Italia partecipa con un proprio padiglione progettato e realizzato autonomamente.

    Gli aggettivi, che servono ad abbellire il discorso, hanno sempre un peso fondamentale. Per cui, quando il Bureau International del Expositions distingue le Esposizioni internazionali in “specializzate”, cioè dedicate a uno specifico argomento, e “universali”, cioè genericamente pronte a tutto, in realtà istituisce una sorta di opzione tra l’utile e il bello, ovvero tra il fare e il dire, che nel corso degli ultimi decenni ha manifestato una significativa oscillazione.

    Significativa per quanto concerne le problematiche a cui si riserva la maggiore attenzione, ma anche gli stili delle cosiddette narrazioni identitarie dei soggetti collettivi, nazionali, internazionali o multinazionali, coinvolti nell’evento espositivo.

    Non siamo reduci da Dubai e quindi le nostre considerazioni si basano essenzialmente sulle immagini di repertorio e sui riscontri giornalistici, che tuttavia ci consentono concordemente di rilevare il progressivo passaggio dal “come siamo” al “come vorremmo essere”. 

    In effetti già il tema generale della Expo di Dubai, Connecting Minds, Creating the Future, in italiano Collegare le menti, creare il futuro, sembra richiamarsi a valori programmatici più che a scenari di attualità. Con una prevedibile e comprensibile prevalenza delle tematiche ecologiche o, come si usa oggi, di “sostenibilità”, che è già un modo per tirare il sasso e nascondere la mano, per motivare le istanze del presente mediante quelle del futuro.

    Ma tant’è: come è stato autorevolmente notato, ci sono infiniti “bla bla”, ma c’è anche un “bla bla” del “bla bla”! In effetti, l’intero impianto urbanistico e architettonico dell’Expo di Dubai sembra alludere alle caratteristiche del mondo vegetale, piante fiori prati e fresche acque, piuttosto che al mondo minerale, materico e cristallino, a cui facevano riferimento molte delle Expo precedenti, dove l’enfasi delle cose fatte prevaleva su quella delle cose da fare.

    Non essendoci stati, preferiamo soffermarci esclusivamente e sommariamente sul Padiglione Italia, di cui sono disponibili documentazioni progettuali e fotografiche sufficienti a coglierne quel prevalente carattere di “leggerezza” che sarebbe piaciuto a Italo Calvino e che si esprime sia nel titolo – La Bellezza unisce le Persone – sia nelle scelte architettoniche e allestitive. Scelte per lo più improntate alla fluidità: dalle facciate, composte da innumerevoli corde nautiche che oscillano e comunicano grazie a un sofisticato sistema multimediale, alle coperture, realizzate con una membrana ondulata e con tre scafi capovolti, realizzati dalla Fincantieri e in grado almeno teoricamente di affrontare il mare al termine dell’Expo.

    All’interno del Padiglione Italia, progettato da CRA-Carlo Ratti Associati e Italo Rota Building Office, con F&M Ingegneria e Matteo Gatto, il percorso si svolge per suggestioni ambientali piuttosto che secondo logiche espositive basate su specifiche eccellenze culturali o industriali, come per lo più avveniva in passato.

    Al centro la gigantesca riproduzione in 3D del David michelangiolesco – la cui nudità, o meglio celata nudità non ha mancato di suscitare qualche polemica – rappresenta in maniera subliminale gli intendimenti dell’intero progetto. Non vera e non falsa, una idea di bellezza al tempo stesso astratta e concreta, una bellezza che allude originalmente all’originale: a quel “viaggio in Italia” che nei secoli scorsi cominciava dai Paesi nordici e che oggi vorrebbe richiamare anche i Paesi appartenenti al Sud del mondo.

    In questa prospettiva il Commissario generale della partecipazione italiana all’Expo di Dubai, Paolo Glisenti, ha parlato di «architettura narrativa», di «modelli architettonici che sono già essi stessi un racconto». Un racconto che, nella molteplicità dei suoi «spazi da abitare, da vivere, da sognare», si sposta dai contenuti al contenitore, nel cui colpo d’occhio il “naturale” prevale sul “tecnologico”, anche quando si tratta di un naturale molto tecnologico.

    In definitiva, la tecnologia “nuda e cruda”, che forse presenta una eccessiva e talvolta preoccupante estraneità rispetto alle quotidiane esperienze di vita, per quanto essenziale e imprescindibile, non risulta più molto seducente e convincente. Oggi tendono a prevalere le soluzioni che si definiscono “esperienziali”, persino quando queste soluzioni, più che in concrete esperienze, si risolvono in affermazioni retoriche. 

    Per altro, anche la retorica costituisce una tecnologia basata su uno stringente rapporto tra cause ed effetti: non a caso gli antichi filosofi la definivano come “l’arte di persuadere attraverso il discorso”.

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